«Senza Schengen è difficile proteggerci dal terrorismo»

Una minaccia alla sicurezza e un’alleanza con l’Unione democratica di centro nella lotta anti-UE che minano la credibilità degli ufficiali svizzeri: queste le principali reazioni di parlamentari borghesi esperti di sicurezza dopo la presa di posizione della Società svizzera degli ufficiali (SSU), che pochi giorni fa ha annunciato di essere contro l’inasprimento delle norme sulle armi in votazione il 19 maggio.
In quanto membro dello spazio Schengen, la Svizzera è obbligata a riprendere la nuova direttiva sulle armi adottata da Bruxelles dopo gli attentati di Parigi del 2015. Le nuove norme riguardano soprattutto le armi semiautomatiche e quindi i fucili militari Fass 57 e Fass 90, i più usati dai tiratori. Il Parlamento svizzero ha accettato una trasposizione nel diritto elvetico delle norme UE volte a inasprirne il possesso e la vendita. Una trasposizione che ha tuttavia previsto eccezioni sia per l’arma personale che ogni soldato ha il diritto di tenere sia per cacciatori sia per appassionati di tiro sportivo. Secondo la SSU, l’obiettivo principale delle nuove disposizioni, ovvero la protezione dal terrorismo, viene però mancato: a essere toccati dalle nuove regole sarebbe chi possiede legalmente delle armi, non chi le commercia illegalmente, sostiene l’organizzazione. Il progetto approvato dalle Camere federali non rappresenterebbe nessuna soluzione per contrastare a lungo termine la minaccia terrorista. Il Comitato di interessi del tiro svizzero, che si batte contro la modifica della legge e che ha raccolto le firme necessarie per il referendum (oltre 125.000, sulle 50.000 necessarie), va quindi sostenuto. E non solo a parole: gli ufficiali hanno infatti deciso di contribuire finanziariamente alla causa del comitato referendario. A quanto ammonterà la somma non si sa ancora: la quota dovrebbe arrivare al massimo a un numero a cinque cifre, dice la SSU.
Finora da parte dei partiti borghesi, una sola formazione si è schierata contro l’inasprimento delle regole in materia di armi in Svizzera: l’UDC. PLR e PPD sono invece a favore del progetto di legge. E proprio dagli esperti di sicurezza di questi due partiti sono arrivate grandi critiche. In un articolo pubblicato ieri dalla «Neue Zürcher Zeitung» Josef Dittli, presidente della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati ed ex ufficiale di professione, ha dichiarato che posizionandosi a favore del referendum, «gli ufficiali mettono a rischio la sicurezza del Paese». L’importanza dell’adesione allo Spazio Schengen (ritenuto fondamentale per la sicurezza, ma anche il controllo dei flussi migratori e per l’economia) sembrerebbe venire parecchio sottovalutata. Un’attitudine che «delude molto» il «senatore» urano PLR. «L’esercito non è nemmeno toccato dalla revisione di legge», ha aggiunto, sempre sulla testata svizzero-tedesca, Ida Glanzmann-Hunkeler, vicepresidente della Commissione del Nazionale. Per la lucernese PPD con questa mossa gli ufficiali si mettono dalla parte dell’UDC e della sua lotta anti-UE. Un passo che minera la loro credibilità.
«Nessuno ci sta strumentalizzando»
Da noi contattato, Stefan Holenstein, presidente della SSU replica: «Siamo un’organizzazione indipendente e non ci lasciamo strumentalizzare da nessuno». La decisione di dare sostegno alla causa del Comitato di interessi di tiro svizzero è stata presa dalla Conferenza dei presidenti delle società degli ufficiali cantonali durante la sua ultima riunione, il 26 gennaio. «Il voto è stato rappresentativo. Si sono riuniti ufficiali da tutto il Paese. E al nostro interno ci sono membri appartenenti a tutti i partiti», ha tenuto a sottolineare il colonnello SMG. Per Holenstein la possibile esclusione della Svizzera dallo Spazio Schengen è una «minaccia reale, ma davanti alla quale non dobbiamo lasciarci spaventare. Tra le intimidazioni e un abbandono forzato bisognerebbe affrontare vari passi intermedi». Una negoziazione sarebbe insomma fattibile. E quindi, «è necessario mantenere la calma». Uscire da Schengen, ammette comunque Holenstein, sarebbe «tutt’altro che un vantaggio» per la sicurezza nazionale, in particolare per quanto riguarda lo scambio di informazioni fra Paesi che l’accordo garantisce. Interpellata dal CdT Glanzmann-Hunkeler ribatte: «Senza questo scambio di informazioni difenderci dal terrorismo diventa difficile». È vero, ammette la deputata lucernese, che negoziare con l’UE per restare fra i Paesi aderenti al patto Schengen è teoricamente possibile: «Di principio usciremmo nell’arco di sei mesi in maniera automatica. Poi è sì possibile rivolgersi al Comitato misto competente, ma in quel caso tutti i Paesi membri dovrebbero votare in favore di un’eccezione per la Svizzera. E vista l’attuale relazione fra Bruxelles e Berna credo sia davvero illusorio pensare sia possibile ricevere concessioni».