Siamo entrati nella fabbrica dove nasce lo Swatch del 39%: «Vogliamo dare voce all’industria svizzera»

Entrare nello stabilimento ETA a Grenchen è come osservare dall’interno il movimento di un orologio svizzero: ogni ingranaggio ha il suo compito, ogni gesto si incastra con quello successivo, creando una sincronia che non ammette errori. Uomini, donne, macchine e robot partecipano a questa partitura collettiva. Non c’è confusione, ma un ritmo serrato che trasforma la pressione di questi giorni in energia condivisa.
ETA non è una fabbrica qualsiasi. Fondata nel 1793 e oggi parte di Swatch Group, è il cuore industriale dell’orologeria elvetica. Qui nascono i movimenti che alimentano marchi di ogni fascia e che hanno scritto la storia del successo planetario di tutti la galassia della multinazionale di Bienne. È in questo luogo che prende vita lo Swatch «WHAT IF… TARIFFS?», l’orologio in bioceramica che trasforma i dazi americani del 39% in un segno grafico e, soprattutto, in un messaggio.

Il contesto è quello di una decisione che ha colpito l’intero Paese. Dal 7 agosto gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa più alta di quanto previsto in primavera, giustificandola con la necessità di ridurre il deficit commerciale. Per la Svizzera, significa barriere che pesano non solo sull’orologeria, ma anche su macchinari, automotive e medtech. Settori che vivono di export improvvisamente si ritrovano così con un ostacolo che rende più difficile competere. «Il 39% non è solo un numero», osserva Damiano Casafina, CEO di ETA. «È un peso che grava sull’intera economia».

Swatch ha scelto di reagire con ironia: invertendo i numeri 3 e 9 sul quadrante, incidendo il simbolo di percentuale sul fondello, fissando il prezzo a 139 franchi – più alto dei WHAT IF…? tradizionali, solitamente a 100 – e dichiarando che la produzione cesserà non appena i dazi verranno modificati. Una provocazione pensata per restare temporanea, e proprio per questo ancora più efficace. «Abbiamo voluto comunicare in modo creativo una situazione difficile», spiega Casafina. «L’orologio diventa un mezzo per far riflettere, non un fine in sé: ci abbiamo messo solo tre giorni dall’idea alla realizzazione dei primi esemplari che abbiamo messo in vendita».
E in effetti il successo è stato immediato. Il modello è andato esaurito nelle boutique e nell’e-commerce della Svizzera, l’unico Paese dove è possibile acquistarlo, e gli appassionati lo cercano senza sosta. La fabbrica ha accelerato i ritmi, i camion partono due volte al giorno, le linee restano attive senza pause. «Abbiamo organizzato turni sulle 24 ore, sette giorni su sette», racconta il CEO, inserito lo scorso anno nella direzione generale del gruppo Swatch. «Non abbiamo aumentato il personale, ma riorganizzato i turni. Qui siamo 450 e nessuno si tira indietro: dai tecnici agli apprendisti, tutti fanno la propria parte».

Camminando tra i reparti, la coralità diventa evidente. Una lavoratrice scruta i vetri con una concentrazione capace di cogliere difetti invisibili, più in là giovani in camice bianco regolano macchine di stampa digitale che fissano numeri e indici. Accanto ai robot che spostano casse di componenti ci sono mani esperte che aggiustano imperfezioni, con la naturalezza di chi conosce il mestiere da decenni. Non è solo produzione: è reazione immediata a un fatto politico che rischia di segnare un’intera industria.
Lo Swatch «WHAT IF… TARIFFS?» non è soltanto un oggetto da indossare. È diventato un messaggio che ha trovato eco oltre i confini del settore. «Il 39% non pesa solo sugli orologi», sottolinea Casafina. «Colpisce il tessuto produttivo del Paese. Abbiamo ricevuto molti messaggi di sostegno: significa che le persone hanno percepito il valore simbolico di questa iniziativa».
Dentro lo stabilimento si lavora con la consapevolezza che questo orologio resterà in produzione solo finché la situazione rimarrà immutata. E proprio per questo ogni pezzo sembra avere un valore in più «anche se siamo già organizzati per il momento in cui fermeremo la produzione, non appena i dazi saranno rimossi, per evitare sprechi di materiale». Nei laboratori tuttavia si respira un’urgenza diversa dal solito: ogni ora conta, ogni cassa che esce dallo stampo e ogni quadrante che viene stampato non rappresentano soltanto un prodotto, ma un gesto collettivo. Non è celebrazione, è cronaca. È la realtà di un Paese che prova a reagire con gli strumenti che conosce meglio: precisione, creatività, ironia.

All’esterno Grenchen rimane calma, quasi indifferente al fermento che vibra dentro ETA. Ma nei reparti la corsa non si ferma. «Le boutique e gli store online sono già a corto di pezzi», ammette Casafina. «Stiamo spedendo due volte al giorno, il mercato nazionale vuole questo orologio e dobbiamo rispondere». Poi aggiunge, con un sorriso appena accennato: «Non sappiamo quanto durerà. Ma finché resterà questo 39%, resterà anche il nostro orologio».
Un numero che è diventato quadrante, un dazio trasformato in provocazione. E il ticchettio delle linee produttive di ETA continua, ricordando che il tempo, anche sotto pressione, non si ferma mai.