Consiglio federale

Stretta cooperazione con la NATO: «Si può essere solo un po’ incinta»

I documenti confidenziali resi pubblici dopo 30 anni svelano i timori e i dubbi di un avvicinamento all’alleanza militare - Sacha Zala: «La Svizzera approfitta gratuitamente della sicurezza europea, per questo ci possiamo permettere di filosofare sulla neutralità»
Luca Faranda
01.01.2024 21:30

La fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 impongono all’Europa di ripensare l’intera architettura di sicurezza. Anche la Svizzera deve fare i conti con questa realtà mutata e già nel 1992 il Consiglio federale istituisce un gruppo di lavoro incaricato di «riorientare la politica estera rispetto alla neutralità».

In quegli anni emergono infatti i limiti della capacità di auto-difesa della Confederazione. Ci si chiede, in sostanza, «se l’Esercito in futuro sia in grado di svolgere la sua missione militare solo in collaborazione con forze armate straniere».

Bisogna aspettare il novembre del 1993 per la pubblicazione dei risultati di queste riflessioni. Ieri, alla scadenza del periodo di protezione legale di 30 anni, il Centro di ricerca «Documenti diplomatici svizzeri» (Dodis) ha pubblicato una selezione di 1700 documenti riservati del Consiglio federale, dai quali emerge tra l’altro la volontà di una maggiore partecipazione della Svizzera nei processi internazionali. Non a tutti i costi però. La cooperazione con la NATO, ad esempio, non è esente da riserve, dubbi e timori. «Ma l’Esercito svizzero non era più al passo con i tempi, dunque la scelta di avvicinarsi alla NATO, che disponeva di armi sofisticate, era abbastanza ovvia», ci spiega Sacha Zala, direttore di Dodis.

La seduta del 24 marzo 1993

Una delle sedute più significative è quella del 24 marzo 1993. In quell’occasione, il Governo tiene una prima discussione sul «Rapporto sulla politica estera della Svizzera negli anni novanta», grazie al quale vedrà la luce anche l’ormai noto rapporto sulla neutralità del 1993. Già, proprio quello sul quale il Governo basa ancora oggi le sue decisioni. Ad esempio sulle sanzioni: per il Governo di trent’anni fa «anche lo Stato neutrale dev’essere fondamentalmente pronto a condividere misure assunte contro un trasgressore del diritto o un perturbatore della pace da un gruppo di Stati rilevante dal profilo regionale».

Solo un allegato

In realtà, questo rapporto sulla neutralità è «solo» un allegato a quello ritenuto allora ben più importante sulla politica estera. «Dai documenti emerge che negli anni novanta la neutralità non era una preoccupazione impellente per il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e per il Governo, ma un riferimento era ritenuto necessario per l’opinione pubblica», aggiunge Zala.

Per lo storico e direttore di Dodis, «questo allegato creava un legame con il passato e allo stesso tempo garantiva continuità, legittimando così il nuovo corso politico».

Il rapporto allegato «arriva alla conclusione che attualmente non c’è alcuna necessità di rinunciare alla neutralità. Quest’ultima diventerà obsoleta solo quando farà più male che bene», spiega ai colleghi di Governo René Felber, all’epoca a capo del DFAE. «È una frase di una forza incredibile», sottolinea lo storico.

Infatti uno studio del Dipartimento militare era giunto alla conclusione che la neutralità sarebbe potuta diventare un pericolo per la sicurezza del Paese. Secondo Zala, il Consiglio federale di allora «ha preso decisioni rapide e chiare per cambiare i paletti di una concezione della neutralità che resistevano dal 1938. Di fatto, ancora oggi dopo trent’anni continuiamo a convivere con questa visione».

Le «avances»

«Il rapporto non si spinge troppo oltre?», chiede però durante la seduta il «ministro» della Giustizia Arnold Koller (PPD), tra i membri di Governo a esprimere maggior preoccupazione in merito a una cooperazione militare. «Le “avances” nei confronti della NATO sono pericolose, perché non si può essere solo un po’ incinta». In realtà, sì. La situazione odierna, infatti, non è molto differente. «Quello che impariamo da questi 30 anni è che a livello puramente giuridico non si può essere solo un po’ incinta, mentre politicamente ciò è perfettamente possibile. E questo vale in fondo anche oggi per i rapporti con l’Unione europea», sottolinea Zala.

I mesi passano e anche nel mese di settembre del 1993 vengono espresse riserve su un avvicinamento alla NATO. Questa volta è un rapporto del DFAE (diretto da Flavio Cotti, poiché pochi mesi prima Felber si dimette per motivi di salute) a evidenziare che tale passo possa «essere frainteso da parti della popolazione come una rinuncia alla neutralità».

Zala sottolinea che «il Consiglio federale ha discusso a più riprese del rapporto di politica estera, smussando la versione iniziale. Con l’allegato sulla neutralità l’ha reso più accettabile per il Parlamento e anche per l’opinione pubblica. Il consenso interno era necessario».

Regalo caduto dal cielo

A sbloccare la situazione è un’iniziativa lanciata dagli Stati Uniti denominata «Partenariato per la pace», non vincolante, che permette ad alcuni Stati (non membri della NATO) di entrare in relazione con l’Alleanza. «È cascata dal cielo come un regalo», spiega Zala. «Non era pensata per la Svizzera, ma per i Paesi dell’ex blocco sovietico. Eppure, apre uno spiraglio sufficientemente grande alla Confederazione per poter aderire nel 1994 e partecipare a questa iniziativa senza che ciò alimenti discussioni sulla questione della neutralità». Anche nel 2024 il dibattito sull’avvicinamento alla NATO rimane d’attualità, così come la questione della neutralità. Sarà così ancora tra trent’anni? «La Svizzera ha il vantaggio innegabile di stare nel cuore dell’Europa e approfitta gratuitamente della sicurezza che generano la NATO e l’UE, senza doverne pagare i costi. Grazie a questa sicurezza possiamo permetterci di fare filosofare sulla neutralità. Se come Finlandia e Svezia fossimo vicini al confine con la Russia, la vedremmo sicuramente in un’altra maniera. Ma fintanto che la situazione rimane confortevole, nessuno vuol mettere in discussione la neutralità».

Una selezione

I documenti dell’Archivio federale svizzero si «desecretano» automaticamente dopo 30 anni. Per i dossier contenenti dati personali sensibili si applica invece un periodo di protezione di 50 anni.

Il centro di ricerca indipendente Dodis, durante il 29. anno, analizza e valuta circa 1,5 milioni di pagine, pubblicando poi online una selezione di circa 1.700 documenti chiave liberamente accessibili, dedicati in particolare alla politica estera e alle relazioni internazionali. Il volume «Documenti diplomatici svizzeri - 1993» è pubblicato tramite l’Accademia svizzera di scienze umane e sociali.