Svizzera-USA, dal rischio dazi al libero scambio

«La guerra dei dazi è più che un’ipotesi». Ne è convinto il professore emerito di Finanza all’Università della Svizzera italiana Giovanni Baroni Adesi. Lo scenario evocato da Donald Trump durante la campagna elettorale di un aumento lineare dei dazi (del 10% per tutti i Paesi, fino a un incremento del 60% sui prodotti provenienti dalla Cina) va dunque preso alla lettera. «La promessa rischia di tradursi in realtà». Del resto, l’impronta protezionista del presidente americano, volta a favorire la produzione interna e a riequilibrare la bilancia commerciale del Paese, è cosa nota, avendo il Tycoon già imposto dazi mirati su vari settori, come l’acciaio e l’alluminio, durante il primo mandato. Baroni Adesi, tuttavia, non manca di pragmatismo: «Ciò che interessa a Trump è l’accesso al mercato per i prodotti agricoli americani. Pertanto, si passerà dai negoziati». Come dire, un conto sono le dichiarazioni durante la campagna elettorale, un conto è le necessità di trovare un’intesa con il singolo Paese. «Oggi le relazioni commerciali tra Svizzera e Stati Uniti non sono regolate da un accordo di libero scambio e quindi i prodotti svizzeri sono soggetti a dazi, talvolta anche importanti», spiega dal canto suo Monica Zurfluh della Camera di commercio (Cc-Ti). «La possibilità che oggi si torni a discutere più concretamente di libero scambio tra Svizzera e Stati Uniti esiste», aggiunge Baroni Adesi. Dello stesso parere anche l’associazione dell’industria metalmeccanica ed elettrica svizzera (Swissmem) che all’indomani del voto si è detta «fiduciosa che l’industria possa giocarsi bene le proprie carte così come accaduto sotto la prima amministrazione Trump». Al 2019 risale infatti la visita dell’allora consigliere federale Ueli Mauer alla Casa Bianca per discutere - proprio con Donald Trump - di questioni bilaterali, tra cui l’accordo di libero scambio poi accantonato dall’amministrazione Biden. Di qui, appunto, la cautela con cui le aziende svizzere, oggi, guardano al futuro delle relazioni commerciali con gli Stati Uniti.
Bilancio in chiaroscuro
«Per quanto preoccupi le aziende, un eventuale aumento generale dei dazi non cambierebbe i rapporti di competitività tra i vari Paesi», avverte Zurfluh. Anche secondo Baroni Adesi, il bilancio complessivo potrebbe essere non del tutto negativo: «I dazi generano tre effetti economici principali. Il primo, effettivamente, è negativo in quanto l’export svizzero ne soffrirebbe. Il secondo, già visibile, è l’aumento del valore del dollaro, che, se stabile, potrebbe stimolare la domanda di beni esteri, inclusi quelli svizzeri, rappresentando un vantaggio economico. Infine, i dazi rendono più costosi i prodotti americani in Svizzera, favorendo così una maggiore competitività per i produttori svizzeri ed europei. Le aziende, di conseguenza, guadagnerebbero quote di mercato».
L’eventualità di una guerra commerciale su larga scala, in queste ore, è stata comunque evocata da più parti. Arthur Jurus, capo degli investimenti di Oddo BHF Svizzera, sulla scorta del KOF osserva che «l’economia elvetica potrebbe subire una contrazione iniziale dello 0,2% del PIL, pari a circa 1,4 miliardi di franchi» in caso di aumento dei dazi doganali. «Se si arrivasse a un’escalation, con una guerra commerciale globale, la flessione potrebbe raggiungere l’1%, ovvero circa 7 miliardi di franchi». In caso di «guerra» allargata, a soffrire maggiormente, secondo Baroni Adesi, sarebbe quel segmento dell’industria europea che possiede fabbriche anche negli USA. «Per esempio la BMW che manda componenti dai suoi stabilimenti europei negli Stati Uniti». Il prodotto finale, per quanto assemblato in America, risulterebbe comunque più caro a causa dei dazi. L’eventualità che un numero maggiore di grandi aziende con l’elezioni di Trump sposti linee produttive negli USA non è comunque da escludere, aggiunge Zurfluh.
Le ritorsioni
In generale, avverte ancora Baroni Adesi, «se l’Unione Europea dovesse accusare il colpo, anche la Svizzera ne risentirebbe, considerato che l’Europa è il nostro principale partner commerciale». Nel 2018, quando l’amministrazione Trump introdusse dazi del 25% sull’acciaio importato, l’UE rispose con misure di ritorsione che ebbero un impatto anche sulla Svizzera. Non solo. Secondo l’economista, l’accordo che stiamo concludendo con Bruxelles potrebbe interferire con la libertà di interagire con gli USA. «Vedremo se il testo finale introdurrà limitazioni in questo senso», dice Baroni Adesi. Di certo, conclude Zurfluh, anche un aumento dei dazi sulla Cina impatterebbe le aziende svizzere, sia in termini di maggiore divisione tra mercato cinese e quello statunitense, sia in termini di maggiori costi per i prodotti svizzeri contenenti componenti cinesi.