Stati Uniti

Tattica o incapacità di decidere, sui dazi Trump rimane imprevedibile

I ripetuti annunci sull’imposizione di tariffe doganali, seguiti da rinvii, hanno creato confusione e incertezze - I mercati azionari al momento reggono il colpo, sembra invece soffrire molto di più il dollaro - La preoccupazione del FMI
In questa settimana Donald Trump ha inviato 23 «lettere» ad altrettanti capi di Stato e di Governo per annunciare i dazi commerciali USA. ©Evan Vucci
Dario Campione
11.07.2025 20:45

Indecisionismo oppure tattica? Idee poco chiare o metodo spregiudicato per ottenere il migliore risultato? Che cosa c’è, davvero, dietro l’apparente confusione delle scelte di Donald Trump in materia di dazi? Come tutti ricordano, all’inizio di aprile il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato, per tutti i partner commerciali, un’aliquota tariffaria di base del 10%, e aveva mostrato nel giardino delle rose, alla Casa Bianca, la lavagna dei cattivi, l’elenco dei Paesi sui quali sarebbe ricaduta la clava dei dazi doganali.

Il panico subitaneo del mercato azionario aveva convinto - o, forse, costretto - Trump a posticipare di 90 giorni l’esecutività del suo ordine. Un passo indietro che il tycoon aveva tuttavia mascherato con la volontà di aprire singole trattative con ciascun Paese.

Come siano andate, queste trattative, è noto. In tre mesi, gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo commerciale soltanto con il Regno Unito e con il Vietnam, e hanno dovuto anche siglare una sorta di intesa separata con la Cina al fine di permettere la prosecuzione dei colloqui bruscamente interrotti dopo l’iniziale decisione di aumentare le tasse sulle importazioni di beni da Pechino fino al 145%.

La «retorica commerciale» del presidente americano si è però di nuovo intensificata questa settimana. Trump ha infatti inviato 23 lettere ad altrettanti capi di Stato e di Governo delineando l’entità delle nuove tariffe che, in assenza di un accordo, saranno applicate a partire dal 1. agosto.

«Le lettere - ha scritto oggi il New York Times - riflettono l’incapacità di Trump di finalizzare le dozzine di quadri commerciali che sosteneva sarebbero stati facili da negoziare». Per tutta risposta, il presidente, in un’intervista telefonica con NBC News, ha ribadito che «tutti i Paesi pagheranno».

Di certo, la Casa Bianca ha cambiato più volte le scadenze dei suoi ultimatum, ha fatto saltare o reso incerte molte trattative e ha legato alcune decisioni a questioni che nulla hanno a che fare con il commercio: il trattamento «ingiusto» riservato dal Brasile del suo ex presidente, Jair Bolsonaro, o il presunto afflusso di Fentanyl dal Canada, argomento che i media nordamericani definiscono semplicemente «falso».

Casi ammonitori

I colloqui con gli Stati Uniti sono stati come «attraversare un labirinto e tornare al punto di partenza», ha detto mercoledì scorso alla stampa Airlangga Hartarto, il ministro indonesiano per gli Affari economici, al termine dell’incontro con i funzionari dell’amministrazione di Washington.

Secondo Gabriel Rubin, columnist della Reuters con lunghi trascorsi al Wall Street Journal, la decisione del presidente Trump di prorogare nuovamente «la scadenza per siglare gli accordi commerciali Paese per Paese, questa volta fino al 1. agosto», è semplicemente una «minaccia». Quanto efficace, non è chiaro. Sicuramente, però, contradditoria.

«Il Giappone e la Corea del Sud sono, in tal senso, casi ammonitori - dice ancora Rubin - con l’annuncio di aprile, Trump aveva applicato ai due Paesi dazi rispettivamente del 24% e del 25%. Da allora, si è sfogato di continuo sul fatto che il Giappone non compra abbastanza riso americano. Ma la metà di tutto il riso esente da dazi che il Giappone importa proviene già dagli Stati Uniti». Non solo: «Le esportazioni di riso degli Stati Uniti verso tutti gli altri Paesi ammontano a 2 miliardi di dollari, un sesto dei 13 miliardi di dollari garantiti dal turismo giapponese».

A detta di Heather Stewart, giornalista economica del Guardian, «gli ottimisti, che sembrano includere molti a Wall Street, hanno interpretato lo slittamento al 1. agosto come la prova che Trump non andrà mai avanti con i dazi potenzialmente più dannosi». Anche «i mercati azionari - sostiene Stewart - si sono ampiamente scrollati di dosso l’ultima raffica di minacce del tycoon, apparentemente supponendo che pure quest’ultima scadenza scivolerà via, così come la fine della pausa di 90 giorni il 9 luglio scorso. Dopo essere crollato sulla scia del “Giorno della liberazione”, l’indice Standard & Poor’s 500 delle principali azioni ha registrato un massimo storico, anche se le rinnovate ostilità con il Canada hanno provocato un’oscillazione».

E tuttavia, aggiunte Stewart, «il dollaro ha confuso le aspettative degli economisti, subendo il peggior primo semestre degli ultimi cinquant’anni, nonostante la risposta da manuale ai dazi sia stata una valuta più forte».

Anche alcune grandi istituzioni economiche, tra cui il Fondo Monetario Internazionale e la Banca d’Inghilterra, hanno ripetutamente evidenziato, e sin dal primo momento, i costi per l’economia dovuti all’incertezza che circonda i dazi di Trump; dazi che lasciano le aziende senza le informazioni necessarie per prendere decisioni riguardo ai propri investimenti. «Pure se l’ultima raffica di lettere e di dichiarazioni di Trump non ha risposto alla domanda su dove arriveranno i dazi, una cosa è stata comunque chiarita: è molto probabile che l’incertezza continui ancora per molto tempo».