L'intervista

«Tempi di guerra per i bambini, ma sono loro il cambiamento»

Con Saskia Kobelt e Nicole Hinder di UNICEF Svizzera e Liechtenstein parliamo dello stato delle cose per milioni di minori in pericolo di morte, tra conflitti e fame
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Paolo Galli
18.11.2023 06:00

Quotidianamente abbiamo l’orribile compito di aggiornare il numero delle vittime di guerra. Tra il 2022 e l’anno in corso, in particolare, ci stiamo concentrando sul fronte ucraino e, da un mese, su quello israelo-palestinese. In questo «numero» sono spesso compresi anche i bambini. Migliaia di bambini uccisi dagli adulti, dalle guerre degli adulti. Ne parliamo con Nicole Hinder, responsabile dell’advocacy per i diritti dell’infanzia, e Saskia Kobelt, responsabile dei programmi di emergenza di UNICEF Svizzera.

Lo ha ammesso lo stesso Benjamin Netanyahu: «Ci sono tempi di pace e tempi di guerra. Questo è un tempo per la guerra». Già, e i bambini? Anche loro hanno un ruolo, in guerra.
«Oggi quasi un bambino su cinque vive in zone colpite da conflitti armati e guerre. Oltre a tutte le sofferenze che sperimentano, i bambini e i giovani svolgono un ruolo importante in questi tempi: hanno una visione più imparziale del mondo, non sono ancora influenzati nel trovare soluzioni e possono quindi essere “agenti di cambiamento”. Se ascoltiamo attivamente i bambini e i giovani e discutiamo con loro da pari a pari, noi adulti possiamo imparare molto dalla loro visione del mondo».

Lo vediamo con la guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina, si ha l’impressione che le grandi istituzioni internazionali fatichino a tutelare il diritto internazionale e, di conseguenza, anche i diritti dei minori. È davvero così?
«I diritti dei bambini sono particolarmente sotto pressione in tempi di crisi. E UNICEF è il custode di questi diritti. Di conseguenza, aumentano anche gli sforzi della nostra organizzazione a favore dei bambini. Anche in un mondo di correnti in costante mutamento, UNICEF, in quanto organizzazione di aiuto all’infanzia e di tutela dei diritti dei bambini, è guidata da principi solidi e comprovati. Questi principi sono il nostro impegno fondamentale nei confronti dei bambini nell’azione umanitaria».

Fino a dove potete arrivare? Quali sono i vostri limiti?
«Siamo un’organizzazione umanitaria, il che significa che dobbiamo rimanere neutrali, imparziali e indipendenti nel rispondere ai bisogni umanitari. La nostra priorità è ciò che accade ai bambini e l’impatto che tutto ha su di loro. In quanto organizzazione operativa, siamo sul campo prima, durante e dopo una crisi. Attualmente abbiamo più di trenta collaboratori a Gaza, per esempio, che fanno del loro meglio per sopravvivere, naturalmente, e allo stesso tempo fornire aiuti. Per mantenere la nostra efficienza operativa, è necessario garantire anche la sicurezza dei nostri dipendenti. Soprattutto in contesti in cui il diritto umanitario internazionale è disatteso. È una sfida enorme per UNICEF: riuscire a garantire questa sicurezza e, allo stesso tempo, mantenere gli aiuti per i bambini».

In periodi di crisi, i più giovani sono costretti ad assumere ruoli che in realtà spetterebbero agli adulti

Parliamo delle vittime, anche tra i bambini, ma non abbastanza forse di chi resta. Come crescono i bambini delle guerre?
«I bambini e i giovani sono esposti a livelli di stress estremamente elevati in periodi di crisi, come una guerra. Spesso sono costretti ad assumere ruoli che in realtà dovrebbero essere svolti dagli adulti. E troppo spesso i bambini e i giovani si trovano ad affrontare i problemi degli adulti, il che non è appropriato per la loro età. Di conseguenza, perdono momenti importanti dello sviluppo: giocare, fare amicizia, imparare, scoprire il mondo, appropriarsi del mondo, sviluppare prospettive e diventare autonomi. Allo stesso tempo, i genitori non sono in grado di impegnarsi con i loro figli, di sostenerli e di accompagnarli nella loro crescita».

Che cosa potete fare, come UNICEF, per aiutare i minori a cancellare marchi e pregiudizi figli delle guerre, e a crescere liberi secondo valori di pace?
«UNICEF tutela i diritti dei bambini e dei giovani aiutando i governi colpiti a costruire società più resilienti, inclusive e pacifiche. Il nostro approccio alla costruzione della pace mette i bambini al centro, rafforza la coesione sociale all’interno delle comunità, costruisce relazioni tra le comunità e i governi e sostiene i bambini e i giovani a partecipare alla costruzione della pace e dello sviluppo nelle loro comunità».

Ultimamente (forse a partire dalla pandemia) si sente spesso parlare di salute mentale anche riferendoci ai minori. Quali sono i termini di questa emergenza? E come influiscono i tempi di guerra su questa emergenza?
«La pandemia di COVID-19 ha contribuito a portare in superficie il problema della salute mentale. In realtà, la pandemia ha portato alla luce solo la punta dell’iceberg e ha agito come una lente di ingrandimento per i problemi esistenti. Abbiamo ignorato la questione troppo a lungo, con conseguenze disastrose per i bambini e per la società nel suo complesso. Secondo le stime dell’OMS, oltre il 13% dei giovani tra i 10 e i 19 anni soffre di un disturbo mentale diagnosticato. Si tratta di 86 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni e di 80 milioni di adolescenti tra i 10 e i 14 anni. Tuttavia, nonostante la domanda di sostegno, la spesa media dei governi per la salute mentale a livello mondiale è solo il 2,1% della spesa media dei governi per la salute in generale. Ciò si traduce non solo in una sottoproduzione di misure ospedaliere, ma anche in una mancanza di consapevolezza che la psiche è una parte importante del benessere. La salute mentale e il sostegno psicosociale dovrebbero quindi essere sempre parte integrante di qualsiasi risposta di emergenza umanitaria volta a garantire lo sviluppo ottimale e il benessere dei bambini nelle emergenze».

Il fatto che si parli di salute mentale dei minori è una conquista o piuttosto un segnale d’allarme che dovremmo cogliere?
«Parlare dei problemi della nostra società e trovare insieme le soluzioni deve essere considerato un risultato. Solo così potremo ottenere quei cambiamenti così importanti per i bambini e i giovani. Se ignoriamo la salute mentale dei bambini, miniamo la loro capacità di imparare, lavorare, costruire relazioni significative e partecipare alla società. La società civile deve, proprio per questo, lavorare per contrastare la stigmatizzazione, migliorare l’alfabetizzazione sulla salute mentale e garantire che le voci dei giovani siano ascoltate, soprattutto quelle di coloro che hanno vissuto in prima persona problemi di salute mentale».

Nella cura della salute mentale, sappiamo che fondamentali sono le richieste di aiuto. Per un bambino costretto a vivere nel proprio Paese una guerra, chiedere aiuto non è così facile, e potrebbe non essere un riflesso spontaneo. In un Paese in guerra gli adulti penseranno alla sopravvivenza, alla ricostruzione poi, agli aspetti pratici e fisici della vita. Come si può intervenire in questo senso per rendere centrale l’aspetto mentale, dell’accompagnamento, della prevenzione e della cura dei minori?
«Nelle emergenze umanitarie, UNICEF talvolta sostiene le autorità nella creazione di spazi a misura di bambino, che offrono ai bambini e a chi si prende cura di loro l’opportunità di riunirsi in un ambiente sicuro per dipingere, fare musica o semplicemente giocare. Ciò contribuisce a creare un senso di normalità. Secondo gli esperti, questo contribuisce a minimizzare l’impatto di un’esperienza traumatica. In Ucraina, ad esempio, UNICEF ha aiutato a costruire spazi a misura di bambino dove i bambini stessi e le madri colpiti dalla guerra possono trascorrere del tempo. Si tratta di un luogo in cui i bambini possono tornare a essere bambini per un po’, lontani dalle pressioni della crescita in una zona di guerra».

In quale modo la maggiore incertezza derivante da questi tempi può influire, anche qui, anche in Svizzera, sulla salute e sulle sicurezze dei più giovani?
«I bambini e i giovani sono attivi: comunicano, sono connessi sui social media e si formano le proprie opinioni. Il nostro mondo globalizzato, con molteplici crisi, può avere un impatto diretto sulla salute mentale dei bambini e dei giovani. Ad esempio, diventano più pessimisti quando si tratta di prospettive future. L’aumento della povertà infantile, le disuguaglianze nelle opportunità educative e l’aumento dello svantaggio e dell’emarginazione possono essere osservati soprattutto in tempi di crisi. Ciò ha un impatto diretto sul benessere dei bambini e dei giovani. I bambini sono tra i gruppi più vulnerabili della popolazione, con una lobby relativamente debole. È quindi importante avviare un dialogo con i bambini e i giovani e prendere sul serio le loro preoccupazioni e i loro timori. Proprio per questo è fondamentale trattare i bambini e i giovani da pari a pari e permettere loro di partecipare alla società. Dobbiamo riconoscerli come soggetti giuridici indipendenti».