Il ricordo

Tessitore di alleanze e soluzioni

Il ricordo di Luigi Pedrazzini, già consigliere di Stato PPD
Il giorno dell’elezione in Consiglio federale, il 10 dicembre del 1986, insieme al collega di partito Arnold Koller. © Keystone
Luigi Pedrazzini
17.12.2020 06:00

Con la scomparsa di Flavio Cotti la Svizzera e il Ticino perdono una delle personalità politiche più importanti della seconda metà del 20 esimo secolo. Consigliere Federale per un decennio (dal 1987 al 1999), due volte presidente della Confederazione, consigliere di Stato per due legislature (dal 1975 al 1983), consigliere Nazionale, deputato al Gran Consiglio e anche, in giovane età, consigliere comunale a Locarno: è stato politicamente attivo a tutti i livelli, sempre lasciando un’impronta forte, professionale e i tratti di un impegno politico saldamente ancorato nei valori dell’ispirazione e dell’umanesimo cristiano.

Nel 1994 a Budapest con Bill Clinton, François Mitterrand ed Helmut Kohl (a destra in alto). © Keystone
Nel 1994 a Budapest con Bill Clinton, François Mitterrand ed Helmut Kohl (a destra in alto). © Keystone

È impossibile ripercorrere in poche righe la sua poderosa e generosa carriera politica. Mi piace coglierne alcuni aspetti per associarli a progetti concreti che ha perseguito nel corso degli anni. Inizio dal suo impegno partitico, esercitato con forte attaccamento ai valori del PPD che ebbe modo di presiedere sia a livello cantonale che federale. Era un militante appassionato, molto vicino alla base del partito (e dalla stessa base molto amato): viveva le campagne elettorali «fra la gente» come momento privilegiato per meglio conoscere il Paese. In Gran Consiglio fu spesso fra i deputati più «progressisti», pronto a proporre o sostenere iniziative coraggiose che non sempre trovarono il sostegno della maggioranza del parlamento o dei cittadini (come a esempio la legge urbanistica). Al di là dell’esito di questi processi, le posizioni di Flavio Cotti fanno di lui un politico che aveva avvertito l’esigenza di una risposta politica innovativa per superare schematismi e barriere ideologiche a quei tempi molto forti che di fatto condizionavano lo sviluppo del Cantone.

In Consiglio di Stato, quale direttore del Dipartimento economia, comprese l’importanza di un’azione coordinata dello Stato e si impegnò per far approvare dal Gran Consiglio la Legge sulla pianificazione cantonale. Più d’un processo legislativo, si trattò di portare avanti un metodo nuovo di governare coniugando i tre elementi fondamentali del territorio, delle finanze e dell’economia. Flavio Cotti ci credeva e riuscì a convincere un Gran Consiglio non sempre disposto a seguire le riforme importanti dello Stato. In Consiglio Federale, di cui fu membro molto influente, prevalse un Flavio Cotti forse un po’ diverso da quello che avevo conosciuto in precedenza: un politico pragmatico, un grande tessitore di maggioranze per dare ai problemi della Svizzera, in un periodo in cui iniziava a manifestarsi la polarizzazione, soluzioni concrete. Così fu per alcuni anni alla testa del Dipartimento degli interni e poi, successivamente, capo della diplomazia. Ebbe un ruolo importante nel trovare un accordo per la questione degli averi ebraici, influì coraggiosamente nella decisione di procedere (con la commissione Berger di cui era molto amico) a una rivisitazione «senza sconti» del ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale. Durante il periodo di Consiglio federale rimase legatissimo al Ticino.

Con il leader dell’OLP Yasser Arafat a Berna, nel 1997. © Keystone
Con il leader dell’OLP Yasser Arafat a Berna, nel 1997. © Keystone

Non era nel suo stile immischiarsi nelle questioni di politica cantonale e non ricordo suoi interventi sull’uno o l’altro tema, salvo un’eccezione importante quando parlando a Poschiavo rilanciò il tema dell’università della Svizzera italiana, finito in un cassetto dopo la bocciatura del CUSI. Il suo attaccamento al nostro Cantone si manifestava anche attraverso un concreto sostegno agli svizzero italiani presenti a livello federale, in una strenua difesa dell’italianità e, in generale, delle minoranze. Fu un ministro degli esteri molto attivo anche su dossier delicati (come presidente OECD ebbe un ruolo importantissimo nel ripristino della democrazia nei paesi dell’ex Jugoslavia). Non si limitava alla partecipazione ai convegni o alle visite di Stato: tesseva costantemente relazioni personali di amicizia con i capi di Stato che gli permettevano di meglio tutelare, in situazioni difficili, gli interessi del nostro paese (Helmuth Kohl fu suo ospite a Brione s/Minusio).

Era un lavoratore instancabile, un pianificatore delle sue attività attento ai dettagli. Ricordo che in previsione dell’anno di presidenza del 700° della Confederazione creò con largo anticipo un gruppo di riflessione per ricevere stimoli per gli innumerevoli discorsi: e furono interventi di spessore che contribuirono a meglio analizzare la storia del nostro Paese e le dinamiche del presente. Questo e molto altro ancora fu Flavio Cotti, politico di razza che a giusto titolo entrerà nella storia del nostro Paese!

© KEYSTONE/Urs Flueeler
© KEYSTONE/Urs Flueeler