A Lugano si sentiva sicura, ma le hanno rubato un anello da 400.000 franchi che teneva in borsetta

La turista cinese, in città per il diploma del figlio, nella borsetta di Dior aveva due anelli: uno, in oro bianco con diamante, valeva oltre quattrocentomila franchi. E se quel giorno, la borsetta, l’ha appoggiata con una certa noncuranza alla sedia mentre faceva una pausa nella veranda esterna di un esercizio pubblico affacciato su piazza della Riforma, dal suo punto di vista è tutto sommato comprensibile. Per lei la Svizzera, e dunque Lugano, era un luogo sicurissimo, e quindi non vi erano ragioni per temere di subire un furto. Cosa che invece è puntualmente avvenuta, e la borsetta è finita tra le braccia di una coppia ungherese che si è ritrovata fra le mani il bottino della vita. Tanto che in città i due - forse amanti, forse sodalizio criminale, forse entrambi - hanno finito per soggiornare in tutto per soli 21 minuti: constatato quel che conteneva la borsetta hanno probabilmente deciso di lasciare la Svizzera in men che non si dica. Ma la loro fuga è durata solo qualche mese. La refurtiva, invece non è stata recuperata.
Questione di punti di vista
A giustificare il comportamento della turista, oggi in aula penale, è stato il giudice delle Assise correzionali Mauro Villa, che ha condannato la coppia di ladri a dieci mesi carcere cadauno per furto: lui da espiare, dati i numerosi precedenti; lei no (la sua pena è stata sospesa essendo incensurata e la prognosi non negativa). «Soggettivamente la vittima - ha argomentato Villa - poteva pensare di non essere mai vittima di un furto a Lugano e dunque di poter abbassare la sua soglia di sicurezza», in quanto dal suo punto di vista la Svizzera era «un paese sicurissimo», sia per nomea, sia per aver deciso di mandarci il figlio a studiare.
L’aspetto soggettivo ha giocato anche a favore dei due imputati. A fronte dell’ingente maltolto la pena loro inflitta può sembrare lieve, ma secondo Villa i due al momento di rubare la borsetta «non potevano immaginarsi di trovarci dentro un oggetto dal valore di quasi mezzo milione». Non era cioè quello il loro obiettivo al momento dell’atto, cosa che ha alleviato la loro posizione procedurale. Né la Corte si è convinta, come invece sosteneva l’accusa, che la coppia si fosse recata a Lugano esclusivamente per rubare: «È stata piuttosto l’occasione che ha fatto l’uomo ladro».
Illusorio non essere notati
Un altro aspetto emerso dalla vicenda è che ormai pensare di poter girovagare per Lugano senza essere notati e, se necessario, rintracciati è cosa illusoria. L’«eccellente videosorveglianza» della Città - parola della procuratrice pubblica Margherita Lanzillo - ha fornito «riprese nitide e inequivocabili» dell’accaduto e degli spostamenti della coppia. Il duo aveva inoltre insospettito un agente in borghese che ha poi allertato i colleghi, tanto che la coppia è stata fermata in dogana a Chiasso. La perquisizione - parola del giudice Villa - è però stata «generica, sommaria e incompleta». Non per particolari colpe degli agenti in servizio quel giorno, ma «perché non si sapeva ancora cosa cercare». La denuncia dell’accaduto è infatti arrivata solo in seguito e la refurtiva era stata nascosta nell’auto a noleggio sufficientemente bene.
I dubbi delle difese
In tutto ciò la coppia ha provato a contestare che nella borsetta vi fossero i due anelli. I loro legali d’ufficio, gli avvocati Massimo Quadri e Pascal Delprete, hanno sollevare dubbi sulla credibilità della turista cinese, sostenendo che logica vorrebbe che anelli di tale valore fossero da consegnare alla sicurezza dell’albergo in cui alloggiava o quantomeno che che la borsetta che li conteneva dovesse essere osservata con maggiore cura. Tesi però respinta dalla Corte con la motivazione descritta in entrata: «È vero che il comportamento della turista suscita qualche perplessità, ma è anche vero che ciò non basta per non crederle». I due legali avevano chiesto pene ridotte di conseguenza e in questo senso, malgrado la conferma dell’atto d’accusa, sono stati tutti sommato accontentati: la procuratrice Lanzillo chiedeva infatti la condanna a due anni per entrambi.
Qualche giorno fa: 14 mesi sospesi per 2.600 franchi di bottino
Se la coppia ungherese se l’è cavata con 10 mesi malgrado l’ingente refurtiva, nei giorni scorsi (la sentenza è del 31 luglio) una 18.enne italiana era stata condannata per furto aggravato a 14 mesi sospesi e all’espulsione per sette anni per una serie di furti in abitazione che hanno fruttato a lei e alla sorella (giudicata dalla Magistratura dei minorenni) «solo» 2.600 franchi. Nove i tentativi riconducibili alle due (ma probabilmente di più), tutti in pieno giorno, ma solo due quelli andati a buon fine. La giovane, difesa dall’avvocato Fabio Creazzo, pur riconoscendo i fatti si è presentata con un alias, dicendo di essere cittadina croata e di essere minorenne. La Corte non le ha creduto, anche perché lo Stato croato non l’ha riconosciuta come cittadina e perché il suo documento d’identità era un grossolano falso. Anche in quel caso a sostenere l'accusa era la procuratrice pubblica Margherita Lanzillo e a presiedere la Corte d'assise correzionali il giudice Marco Villa.