Il personaggio

A tu per tu con Fabio Antognini, il Top Gun ticinese

Oltre 4 mila ore di volo alle spalle e una carriera sconfinata nelle forze aeree dell'esercito: lo abbiamo incontrato al Club dei 1000
12.11.2022 20:00

In occasione dello speciale incontro del Club dei 1000, a tema sicurezza nazionale, il Corriere del Ticino ha intervistato Fabio Antognini, colonnello di Stato Maggiore. 

Colonnello Antognini, lei che ha più di 4000 ore di volo, per intenderci circa 165 giorni passati nel cielo e una carriera sconfinata nelle forze aeree dell’esercito, ci può dire effettivamente dove nasce la passione del volo? 
«Dove e quando nasce esattamente non saprei dirlo, posso però dire che è una dedizione, “un qualcosa”, che ci si sente dentro, nell’intimo. È difficile capire come si innesta questa passione in noi professionisti. Sono nato a Locarno, avere l’aeroporto di Magadino a due passi può avere influito. Ricordo il continuo ronzio dei motori e le moltissime ore da bambino passate con il naso all’insù. Detto ciò, avere il pathos è sicuramente fondamentale ma non significa avere la vocazione giusta per tramutare questo amore nella professione di una vita. Quello dell’aviazione militare è sicuramente un ambiente affascinante, ma non saprei dire il perché di questo interesse». 

Ciclicamente, negli anni, la questione esercito sì o esercito no torna sempre: per il colonnello Antognini l’esperienza militare può essere considerata una forma mentis?
«Certo, assolutamente. Ma va anche detto che nelle forze aeree si è da soli, è una disciplina spesso solitaria. Per questa ragione è necessario stimolarla e coltivarla. Già in precedenza del primo volo la scuola sensibilizza e rimarca le responsabilità del pilota. Oltre che alla propria vita, un pilota deve tener conto di quella di persone terze. Pensiamo ad esempio se un aereo dovesse cadere: non sapremmo cosa o chi andrebbe a impattare. Non dobbiamo dimenticare il nostro ruolo: siamo piloti militari che utilizzano aerei armati per la sicurezza del nostro spazio aereo. Tutto questo si sposa infine in una disciplina di vita. Ricordo i fine settimana a inizio carriera in cui rinunciavo alla discoteca con gli amici perché all’indomani mi sarei dovuto trattenere sui libri oppure, nei casi migliori, sarei dovuto partire per un volo di esercitazione». 

Assolutamente, i sacrifici ci sono e fanno parte del gioco. È un impegno che non ammette sbagli, ma al netto di questo le soddisfazioni sono enormi

Ecco, ha citato i sacrifici, ma restano maggiori le soddisfazioni, vero?
«Assolutamente, i sacrifici ci sono e fanno parte del gioco. È un impegno che non ammette sbagli, ma al netto di questo le soddisfazioni sono enormi. Dalla preparazione del volo al momento in cui si è in cielo, ovviamente. E poi la buona riuscita di una missione oppure più banalmente le discussioni e il confronto con i propri colleghi. L’adrenalina? Beh, questa quasi non ci deve essere, bisogna essere sempre concentrati al 100%. Sono emozioni talmente potenti che sono molto complesse da spiegare a chi non è nel ramo». 

Ma il colonnello, il suo primo volo, lo ricorda ancora? D’altronde la prima volta non si scorda mai.
«Esattamente, lo ricordo come fosse ieri e invece sono passati 40 anni: guidavo un P3, un aereo a pistoni. Quella fu la prima vera soddisfazione, ma da quel giorno ne seguirono molte altre: sono arrivati nuovi aerei, nuove esperienze che l’esercito mi ha dato la possibilità di sperimentare. Il volo in notturna, quello acrobatico, il rifornimento aereo, e inoltre quella di testare aerei che con il passare degli anni sono divenuti sempre più tecnologici e avveniristici. Le soddisfazioni le colgo anche nel tramandare alcuni insegnamenti ai giovani, con un gruppo di persone che hanno il fuoco sacro dell’aviazione nel cuore». 

La sua professione ha un posto d’onore anche nella cinematografia mondiale. Grazie a Top Gun e al nuovissimo sequel, Top Gun: Maverick, il vostro lavoro è ammirato e invidiato da intere generazioni. Ma quanto c’è di vero? Un personaggio scellerato e irrequieto come Maverick potrebbe fare carriera? Avevamo posto la stessa domanda anche a Lukas Nannini...
«Il primo film era denso di scene di volo irrealistiche e impossibili che saltavano subito all’occhio per un professionista, ciò non toglie che sia stato un bel film, d’altronde ha segnato un'epoca. Ho notato invece piacevolmente che in Maverick, il sequel di Top Gun, vi è stato molto più studio e sforzo per quanto riguarda la veridicità dei voli. Il film è ricco di scene e immagini stupende, ma anche la qualità delle manovre è notevole, ne sono rimasto stupito. Sicuramente il personaggio interpretato da Tom Cruise non avrebbe modo di avanzare molto nell’aviazione militare, non possiamo infatti permetterci un pilota che con un aereo sperimentale, per il solo vezzo di andare più forte del collega, distrugge un prototipo. Siamo con i piedi ben piantati a terra, nella realtà. Ma ciò non toglie che queste due pellicole siano state eccellenti».

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