Mendrisio

Abbiamo passato una notte al Pronto Soccorso (vedendone di tutti i colori)

Il Beata Vergine ci ha permesso di passare un turno in ospedale con i dottori, gli infermieri e alcuni pazienti del reparto d’urgenza - In poche ore ne abbiamo viste di tutte: ossa rotte, intossicazioni, tatuaggi infetti e persone che si sono lasciate andare a qualche bicchierino di troppo
©CdT/Chiara Zocchetti
John Robbiani
09.01.2020 06:00

Siamo abituati, come pazienti, a vedere il Pronto Soccorso dalla sala d’aspetto, giudicandone spesso il servizio unicamente in base ai tempi d’attesa. E c’immaginiamo quel che succede al suo interno basandoci su quanto visto in E.R., Grey’s Anatomy o Chicago Hope. L’EOC e l’Ospedale Beata Vergine (OBV) di Mendrisio ci hanno permesso di passare un turno di notte al Pronto Soccorso. Ci hanno fornito un camice bianco e consentito di aggirarci per i corridoi parlando con medici e infermieri. Provando chiaramente a non infastidire i pazienti. «È stata una serata piuttosto tranquilla» ci ha detto un medico alla fine del turno. Tranquilla? A noi è sembrato il contrario.

Google Translate in corsia
Ci presentiamo alle 20 e il caposervizio, dottor Davide Fadini, ci accoglie e ci affida allo staff che passerà con noi la nottata. Tra le prime pazienti c’è una donna con forti dolori addominali e che vomita di continuo. Sembra un caso semplice, ma non parla una parola d’italiano. Solo georgiano stretto. Come comunicare? Un’infermiera ha un’idea: afferra un monitor, apre Internet e accede a Google Translate. Problema risolto.

«90% di noia, 10% di paura»
Approfittiamo di un momento tranquillo per parlare con i medici. Afferriamo subito che è un mestiere fatto di attese e poi d’improvvise fiammate. In cui mai è possibile sapere cosa capiterà da un minuto all’altro, chi entrerà in Pronto Soccorso e in quali condizioni. «Si dice - ci spiega uno di loro - che il 90% delle volte ci si annoia e il 10% si ha paura». «Si possono passare diverse ore tranquille - conferma un collega - e poi trovarsi con il Pronto Soccorso pieno». E c’è la questione «codici bianchi», quei pazienti che, colpiti da una semplice bagatella, affollano il Pronto Soccorso quando potrebbero rivolgersi al loro medico di famiglia. «Cosa ne pensate - chiediamo - della proposta di far pagare 50 franchi»? «Sarebbe un deterrente, ma anche un’arma a doppio taglio. Meglio sensibilizzare gli utenti». In Italia - ci viene spiegato - un sistema simile c’è, eppure i Pronto Soccorso restano affollati.

Stessa ora, quasi tutte le sere
E di «codici bianchi» ce ne sono parecchi? «Se è fortunato ne vedrà uno con i suoi occhi tra poco. Aspetti le 22». E infatti, puntuale come un orologio svizzero, eccolo il «codice bianco»: una signora che, quasi tutti i giorni e alla stessa ora, si presenta all’OBV sostenendo di stare male. Per i medici il suo arrivo è quasi un rito di passaggio tra il turno diurno e quello notturno.

Maledetta cena aziendale
Di pazienti continuano ad arrivarne. C’è una possibile intossicazione alimentare e un giovane con un tatuaggio infetto. Poi arriva un’anziana, diabetica, che ha dolori al ventre. Le vengono controllati i reni, i polmoni e la vescica. Tutto ok, o quasi. Il ricovero non è strettamente necessario. La famiglia opta comunque per farle passare la notte in ospedale. Poi arriva una donna con una frattura scomposta alla spalla (è scivolata durante una cena aziendale) e un anziano caduto mentre faceva sport, fratturandosi l’omero.

L’arrivo dell’ambulanza
Poi ecco il momento più atteso: l’arrivo della prima ambulanza. È preceduto da un annuncio incomprensibile via radio. «20/21, NACA 3». Ovviamente non capiamo e un medico ci aiuta. «20» è il codice che indica un infortunio, «21» un trauma cranico. NACA (acronimo di National Advisory Committee for Aeronautics; l’ente predecessore della NASA che ha inventato questa classificazione ) indica la gravità delle ferite. Si parte da 1 (nulla di grave) e si arriva a 7 (nulla da fare). Nello stesso momento - a dimostrazione che i casi si presentano tutti assieme - la dottoressa di turno riceve altre due chiamate: una paziente ha perso sensibilità in metà parte del corpo (ictus?) e un paziente soffre di aritmie cardiache. Tutti vanno chiaramente controllati. «Spesso capiamo le condizioni di un paziente - ci spiega un medico mentre attendiamo l’ambulanza - semplicemente guardando il comportamento dei soccorritori». E in effetti, giunti all’ospedale, i paramedici non sembrano preoccupati. Il paziente - un anziano che è caduto dopo qualche bicchierino di troppo - viene comunque sottoposto a una TAC. Il radiologo di picchetto (al Civico di Lugano) conferma che, per fortuna, non ci sono danni.

Una telefonata dalla polizia
È quasi mattina, siamo stanchi e ci prepariamo a riportare il camice dove l’abbiamo preso. Ma una telefonata ci spinge a restare. Una pattuglia della polizia di Chiasso annuncia il trasporto di un uomo che potrebbe aver tentato il suicidio. È stato visto da un ferroviere vicino ai binari. «Purtroppo capita spesso», spiega un’infermiera. «Di solito o sono giovani oppure asilanti che camminano lungo la ferrovia». «Nega di aver tentato un gesto estremo - racconta un agente ai medici - ma sinceramente non me la sento di lasciarlo andare a casa». «Volevo solo prendere una scorciatoia», tenta invece di spiegare il paziente. Viene chiamato lo psichiatra di picchetto per un consulto. È tardi, dicevamo, e siamo stanchi. Ce ne andiamo senza sapere come questo caso andrà a finire. Ulteriore suspense in una nottata emozionante passata al fianco di chi è chiamato a salvare le nostre vite.

«Grey’s Anatomy mi fa davvero venire il latte alle ginocchia»

Un lavoro duro ma arricchente, diverso da quanto siamo abituati a vedere in televisione

Ma chi lavora al Pronto Soccorso cosa ne pensa di telefilm come E.R., Grey’s Anatomy o Chicago Hope? Sono realistici o c’è troppa esagerazione? «Grey’s Anatomy - ci spiega un medico - mi fa venire il latte alle ginocchia. Preferisco Dr. House. Almeno i casi sono realistici. A dire il vero però, quando sono a casa, non è che mi venga sempre voglia di pensare all’ospedale». E una cosa che nelle serie TV non si vede è la montagna di scartoffie che i dottori devono riempire. «Un’ora con un paziente, almeno un’altra a riempire cartelle».

Quanta esperienza
Un’altra cosa che non si vede nei film, dove sono i medici le superstar, è il fondamentale lavoro di infermiere e infermieri. «Sono davvero - ci spiega un dottore - molto preparati, soprattutto chi lavora al Pronto Soccorso o in Cure intense. Un’infermiera con anni di carriera alle spalle spesso ha più esperienza di un medico alle prime armi». Passiamo chiaramente del tempo anche con loro e assistiamo alla «consegna»; la riunione che si tiene tra un turno e l’altro per scambiarsi informazioni sui pazienti. Tutto inizia con un aggiornamento sul risultato dell’Ambrì (ed è logico, siamo nel Mendrisiotto). Poi, paziente dopo paziente, discutono dei vari casi, delle medicine somministrate o da somministrare. Si scambiano consigli e informazioni.

Cala il buio, aumentano i casi
Ma è la sera che si registra la maggior affluenza nei Pronto Soccorso? Pare proprio di sì. Le spiegazioni sono molteplici. «Con il buio aumenta l’ansia e le persone sono più portate a venire da noi», ci spiega un medico. Ma ci sono anche motivi più logici. «La gente di giorno lavora. Se ha qualcosa probabilmente tenta di resistere e poi arriva in Pronto Soccorso di ritorno dall’ufficio». E c’è anche una questione di praticità, perlomeno presunta. «C’è anche chi è convinto che di sera farà meno coda in sala d’aspetto». L’appello resta sempre lo stesso. In Pronto Soccorso ci si dovrebbe recare solo per le urgenze.