Accendendo una lampadina, hanno portato la speranza

«Accendi la luce». Un gesto semplice, che compiamo ogni giorno. Ma che per alcuni è un’utopia. Lo sanno bene Nicola Ritter, Francesco Balestrero e Tommaso Fava, i quali hanno letteralmente acceso la luce nel distretto di Sankhuwasabha, nella remota Valle del Makalu in Nepal. Rispettivamente 24, 25 e 26 anni, i tre ragazzi sono i volti del progetto Light for Makalu Valley e saranno relatori a TEDxBellinzona, in programma sabato 20 settembre al Teatro Sociale.
«Tutto è nato quando Daniele, caro amico di famiglia, mi ha contattato e mi ha chiesto di andare con lui in Nepal», racconta Ritter. Daniele Foletti è presidente onorario dell’associazione Mani per il Nepal. E finanziatore indipendente di questo ambizioso progetto: fornire una soluzione sostenibile e immediata portando elettricità a otto villaggi: 143 case e 1.062 abitanti. Una comunità che vive in un’area isolata, al di sotto della soglia di povertà. L’unica struttura in cemento è una sorta di clinica, nella quale mancano i medicinali. Una vallata ai piedi del Makalu, i cui villaggi (otto, appunto) si trovano sparsi in un’area di una decina di chilometri quadrati, la cui distanza è però accentuata da dislivelli su sentieri difficoltosi. In sostanza, piccole case fatte di bambù poste su una linea lungo il fiume, una dietro l’altra.
Il progetto era ambizioso e Nicola non se l’è fatto ripetere due volte. Studia ingegneria meccanica al Politecnico di Zurigo e il viaggio in Nepal sarebbe stato un ottimo internship per il Master. Tommaso, un Master in biologia molecolare appena concluso, e Francesco, tecnico elettronico di professione, erano gli amici perfetti da far salire a bordo. Hanno creato un logo, aperto un sito e raccolto un ottavo del budget totale (80.000 franchi).
Dall’altra parte del mondo
Detto, fatto. Il 28 febbraio sono atterrati a Katmandu. «Non sapevamo cosa aspettarci e l’impatto con la città è stato assurdo», spiegano. Lì hanno incontrato i coordinatori del progetto e hanno fatto scorta di provviste. Tre giorni dopo, sono saliti a bordo del volo per Tumlingtar (Sankhuwasabha, Nepal orientale). «A quel punto ci aspettava un viaggio di due giorni a bordo di una jeep su sentieri assurdi, impercorribili, in una zona estremamente friabile. Abbiamo intercettato i camion che trasportavano il materiale, erano enormi, addobbati in ogni modo, caricati all’estremo». Giunti infine al posto più vicino raggiungibile con i mezzi, ai piedi della valle, è stato scaricato tutto il materiale. Ed è qui che è iniziata davvero l’avventura.
«Quando ci siamo svegliati la mattina dopo, abbiamo trovato un sacco di persone. Erano gli abitanti dei villaggi, scesi per il trasporto del materiale». Che cosa c’è di strano? «Trentaduemila chili di materiale, da trasportare in spalla. Pali della luce, tubi della condotta lunghi due metri e mezzo, cavi per il trasporto di corrente elettrica avvolti in bobina da 80 chili». È stato allora che Nicola, Francesco e Tommaso hanno realizzato che quelle persone, una trentina, avrebbero fatto avanti-indietro sull’arco di un intero mese per riuscire a trasportare tutto. A piedi, tra salite e discese, nella terra, a piedi nudi o indossando sandali. Per il generatore elettrico - 200 chili di peso - sono state necessarie sei persone. «Mi è rimasta impressa nella mente l’immagine di uomo, che aveva letteralmente un buco nella spalla quando ha posato il palo che aveva portato», racconta Tommaso.
Dodici kW che cambiano tutto
I lavori sono iniziati il 7 marzo. Nicola, Francesco e Tommaso si sono accampati nel fondovalle, vicino al sentiero, punto di passaggio obbligatorio per raggiungere tutti gli 8 villaggi. «In questo modo potevamo avere contatti con tutti». Contatti fatti di saluti e sorrisi, perché la barriera linguistica era decisamente un problema, e di inviti a cena nelle piccole case di bambù. «Accendono il fuoco sul pavimento, sul quale successivamente dormono. Sono stati davvero ospitali». In fondo, quei tre ragazzi - insieme a Daniele, ai coordinatori e a un ingegnere nepalese - rappresentavano una svolta nelle loro vite.
Il progetto, concretamente? La deviazione di una parte del flusso del fiume Nivarey per creare un bacino idrico, con l’installazione di tubazioni per il trasporto dell’acqua fino alla «centrale» (la turbina e il generatore). Una piccola stazione di produzione dotata di un sistema per gestire e regolare l’elettricità. «Stiamo parlando di 12 chilowatt. Dodici. Che consentono a tutte le 143 case di avere lampadine e una presa elettrica. Per persone che fino a quel momento non avevano mai avuto la luce se non quella del sole». Light for Makalu Valley, appunto.
«Gli elettricisti eravamo noi»
Istruiti dall’ingegnere, gli abitanti del villaggio hanno scavato, piantato i pali, tirato i cavi per poi affrancarli. «Ci siamo arrampicati insieme a loro, sulle scale di bambù. Pensavamo che a un certo punto sarebbero arrivati gli elettricisti, in realtà gli elettricisti eravamo (anche) noi. E c’era un solo trapano, per 143 case. Cinque minuti a piedi per andare a prenderlo, cinque per tornare all’abitazione. Facevamo un buco e subito lo riportavamo all’unico elettricista, che ovviamente come tutti gli altri non sapeva una parola in inglese». I tre ragazzi, a questo punto, regalano un’altra immagine: «Abbiamo spostato una lampadina per ben dieci volte. In cima alla scala, Francesco chiedeva alla proprietaria di casa se andasse bene la posizione. Lei faceva un cenno con la testa: per noi di dissenso, in realtà era un “sì”. Non solo la lingua, anche la gestualità è diversa».
Due mesi dopo, a inizio maggio, l’ora della verità: la turbina è stata, infatti, accesa solo al termine dei lavori. «È stata un’emozione indescrivibile vedere la luce e la felicità negli occhi delle persone». Un’esperienza di vita, con una costante: Pirty. Lei è una bimba di una decina d’anni, orfana. «È stata la prima persona con cui abbiamo avuto un approccio ed è diventata la nostra mascotte». Tanto che, una volta rientrati in Ticino, Nicola, Francesco e Tommaso hanno deciso di aiutarla. «Il coordinatore locale, del quale siamo diventati amici, ci ha spiegato che, con un piccolo contributo mensile, avremmo potuto permetterle di studiare. “Potete darle un’opportunità”, ci ha detto. Perché il suo destino era segnato: aveva frequentato le Elementari nella valle e il suo percorso scolastico era inevitabilmente finito. Con il nostro aiuto, ha potuto partire per Katmandu, ospitata dalla zia. Va a scuola, impara l’inglese, sembra davvero felice». Quando i tre ragazzi hanno lasciato la valle, salutati da una grande celebrazione, è stato proprio il saluto a Pirty quello più emozionante: «Si era affezionata, ci aiutava in tutti i lavori. Vedere i suoi occhi pieni di lacrime è stato devastante».
Il nuovo progetto
L’impresa di Light for Makalu Valley è il soggetto di un documentario di Stephan Chiesa prodotto dalla RSI per «Storie» (in onda il 28 settembre). Ma non è finita qui. Nicola, Francesco e Tommaso hanno fondato l’associazione Seed of Light. Il primo progetto (per il quale stanno raccogliendo i fondi)? Portare la luce a un altro villaggio, sette chilometri più in alto rispetto a quelli in cui hanno lavorato in primavera. «Ce lo hanno domandato loro. Ci hanno invitati, celebrati, hanno tentato di farsi capire in ogni modo. Alla fine, con l’aiuto dell’ingegnere nepalese, abbiamo compreso la loro richiesta. E accettato la sfida. In gennaio saremo lì».