Accusato di spaccio dall’ex amante: «È una ripicca»

È accusato di aver venduto all’ingrosso 1,9 chili di cocaina il 30.enne serbo residente nel Luganese a processo oggi davanti alla corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Marco Villa. L’imputato, difeso dall’avvocato Nadir Guglielmoni, nega tutto e afferma che la donna che lo accusa - una 43.enne italiana condannata lo scorso dicembre per spaccio - lo fa solo perché la loro relazione è finita male. «Sono accusato ingiustamente - spiega in aula - se avessi avuto a che fare con la droga l’avrei ammesso». Stando all’atto d’accusa firmato dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri, invece, sarebbe proprio il 30.enne ad aver venduto la cocaina alla 43.enne e al suo fidanzato d’allora, un 31.enne svizzero, e ad un’altra donna, anche loro condannati a dicembre.
L’imputato, che ha da poco ricevuto il permesso C, vive nel Luganese con la moglie, naturalizzata svizzera, e la figlia che è nata qui. «È vero - ha detto il procuratore - che il 30.enne si è integrato non appena arrivato in Svizzera sei anni fa e ha sempre lavorato sodo per mantenere la famiglia, ma ha anche deciso di delinquere in maniera reiterata e professionale». L’accusa ha chiesto quindi una pena di 4 anni e l’espulsione dalla Svizzera per un periodo di 10. «Tutti gli elementi dell’inchiesta - ha detto Ruggeri - convergono in maniera logica e oltre ragionevole dubbio: l’imputato ha alienato 1,9 alla donna e ai suoi correi. L’imputato ha pensato solo al suo tornaconto e al suo benessere economico». Nonostante non sia mai stata trovata della cocaina nell’auto o nell’appartamento dell’imputato, secondo l’accusa il fatto che tracce della sostanza siano state trovate sul palmo e il dorso della sua mano «è prova che veniva in contatto con la droga». Anche alcune vacanze fatte dall’uomo sono state ritenute prova di un tenore di vita che conduceva con i proventi della vendita all’ingrosso della coca. Di tutt’altro avviso la difesa che si è battuta per il proscioglimento o, in via subordinata, una pena di 24 mesi sospesi e contro l’espulsione che «sarebbe una punizione nei confronti della moglie e della figlia, private del marito e del papà».
«In fase di indagine - ha detto l’avvocato Guglielmoni - sono stati violati i diritti del mio assistito e sono state registrate irregolarità procedurali: tutta l’indagine parte dall’idea preconcetta che lui è l’unico e il solo fornitore di quelle persone». Un’idea preconcetta che «si scontra con le dichiarazioni degli accusatori stessi». Secondo la difesa è mancato inoltre un vero e proprio contraddittorio. Già la Corte dei reclami penali a novembre - ha spiegato l’avvocato nel corso della sua arringa - aveva ammesso che era stato violato il principio di unità del procedimento, «ma quella decisione non ha avuto conseguenze pratiche perché ormai i tre erano prossimi al processo (che si è poi tenuto in dicembre, ndr.)». Secondo Guglielmoni le dichiarazioni dei tre consumatori e spacciatori non sono credibili: «L’ex amante ne ha dichiarate di cotte e di crude, come quando ha detto che il mio assistito faceva i miliardi con la cocaina, ma poi non si è lasciata controinterrogare». Infine, ha ricordato che «mancano elementi oggettivi che colleghino l’imputato con la droga: nessuna impronta o traccia di DNA sulla cocaina rinvenuta addosso ai tre spacciatori».
La sentenza è prevista in serata.