Achille Costacurta e la rinascita in Ticino: «Alla Clinica Santa Croce ho visto la luce»

«La mia rinascita risale a maggio del 2024: è avvenuta nella clinica Santa Croce, in Svizzera, dove ho incontrato medici che mi hanno aperto gli occhi su tante cose. Psichiatri che definirei “giganti”». A parlare è Achille Costacurta, intervistato dal Corriere della Sera. Figlio di Alessandro detto Billy, ex difensore del Milan e della nazionale italiana, e di Martina Colombari, il 21.enne ha parlato, apertamente, dei suoi problemi – a cominciare dalla droga – e del suo percorso di riabilitazione. Avvenuto, appunto, in Ticino.
A proposito dei medici della Santa Croce, Costacurta ha detto: «Hanno conquistato la mia fiducia e hanno diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l’ADHD, di cui soffro. Ero già stato in quella struttura in passato, dovevo affrontare il depot ma ero depresso e dovevo essere pulito. Poi quando sono tornato da un viaggio in Colombia invece di curarmi in ospedale sono andato in Svizzera».
Dopo un’adolescenza segnata da comunità e psicofarmaci, Costacurta junior si è detto convinto di aver imboccato la strada giusta. Quella della rinascita. «Se non avessi commesso quegli errori – ha proseguito – non avrei capito tante cose, anzi per certi versi penso “meno male che mi è successo tutto questo a 20 anni e non a 50 quando avrò moglie e figli”. Vale anche per la mia famiglia: se fossi stato il principino della situazione, i miei genitori non sarebbero oggi così forti nel fronteggiare situazioni anche spiacevoli che la vita a tutti riserva».
Costacurta ha iniziato a fare uso di droghe al liceo, hashish in particolare. L'ADHD, come detto, gli è stato diagnosticato tardi. E in Svizzera. «Ho incontrato tanti psichiatri nel corso degli anni. Qualcuno ipotizzava questo disturbo, poi un altro ci diceva che non era così. E intanto io continuavo la mia vita sopra le righe fino al ricovero nella clinica in Svizzera. Lì ho visto la luce. Ho 21 anni ma è come se avessi vissuto tre vite: non ricordo più quante volte sono finito in comunità, quanti tentativi di scappare. Non mi rendevo conto che quando cerchi di fuggire poi gli infermieri ti prendono sempre. Ma è il passato e per me ora è chiuso come un ricordo in una scatoletta. Ciò che è successo non si può più cambiare. Ciò che abbiamo davanti dipende da noi».
I genitori, di riflesso, hanno sofferto molto. «Tante volte erano spaventati. Ricordo una volta in autostrada con papà, ho iniziato a giocare con le macchinine sul cruscotto dell’auto. Gli chiedevo di correre, di non rispettare precedenze e semafori. Poi mi sono aggrappato al finestrino, urlando. Lui è stato costretto a fermarsi. Sono salito in piedi sul cofano». Achille ha pure tentato il suicidio: «Ho preso sette boccette di metadone, non so come non sia morto. Volevo farla finita, era un gesto disperato: l’unico modo per far capire che volevo uscire dalla comunità a Parma. Di questo mi pento».
Quanto alla riabilitazione, Costacurta ha ammesso di non sapere esattamente a che punto si trova: «Fumo ancora sigarette e dovrò smettere prima o poi. Il percorso finisce quando finisce il tempo, quando muori».
