Chiasso

Aiutò sette persone a morire: «Carpe diem» in tribunale

La donna avviò la sua attività nella cittadina e, tra l’ottobre del 2016 e il febbraio dell’anno seguente, aiutò (dietro compenso) sette malati a passare a miglior vita – Per l’accusa non vi sono dubbi: si è configurato il reato di istigazione e aiuto al suicidio
© CdT/Chiara Zocchetti

«Carpe diem», a Chiasso come nel resto del mondo, non è solo la famosa locuzione latina che potremmo tradurre in «cogli l’attimo». «Carpe diem», nella cittadina, è stato il nome di un’associazione balzata agli onori ella cronaca nel 2017. Un’associazione che, a Chiasso, ha accompagnato delle persone alla morte. Ora, a distanza di 7 anni, il caso approderà davanti alla Corte delle assise correzionali di Mendrisio che, il 23 ottobre, sarà presieduta dal giudice Mauro Ermani.

Alla sbarra – difesa dall’avvocato Stefano Pizzola – comparirà la donna che, nello stabile al civico 3 di via Pedroni, avrebbe aiutato alcune persone a trovare la morte. Sono sette i casi che la procuratrice pubblica Chiara Buzzi – la quale ha recentemente ereditato l’incarto dall’ex procuratore pubblico Nicola Respini – contesta alla donna. Tutti avvenuti tra l’ottobre del 2016 e il febbraio dell’anno seguente. L’ipotesi di reato mossa nei suoi confronti è quella di istigazione e aiuto al suicidio. Si richiama, dunque, l’articolo 115 del Codice penale Svizzero il quale prevede che «chiunque per motivi egoistici istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria». Una precisazione necessaria perché, di fatto, associazioni note – come Exit – hanno la facoltà di accompagnare alla morte. Ma, appunto, senza alcun motivo egoistico. Motivazione che invece, in questo caso, per l’accusa è ben presente.

Nel marzo del 2017 l’imputata aveva rilasciato un’intervista al Corriere del Ticino spiegando che le persone aiutate erano tutte malate terminali o preterminali. Aveva altresì detto che per la sua attività faceva affidamento su personale medico e una farmacia di fiducia dove si procurava il farmaco letale (15 grammi di pentobarbital sodico da assumere per via orale o venosa in modo autonomo dal paziente). La donna, però, aveva pure parlato di cifre: «La domanda non manca, ho una lista d’attesa di 30 persone – aveva detto allora –. Ogni paziente paga 10 mila euro, a me ne restano 2.000-2.500».

Tema più che mai attuale

Di suicidio assistito nelle ultime settimane alle nostre latitudini si è parlato insistentemente. Il motivo è legato a una capsula, chiamata Sarco, creata per questo scopo, utilizzata per la prima volta in Svizzera a fine settembre. È successo in un bosco del canton Sciaffusa, dove l’organizzazione per l’eutanasia «The Last Resort» ha utilizzato per la prima volta il suo prodotto con una cittadina americana 64.enne suscitando dibattito e reazioni a livello politico. Ma anche l’intervento della polizia, che ha pure fatto scattare le manette ai polsi di 4 persone coinvolte nell’uso della capsula (un solo arresto è stato poi confermato).

L’intervento delle forze dell’ordine è legato al fatto che la capsula in Svizzera è reputata non conforme alla legge. Lo aveva spiegato a fine settembre Elisabeth Baume-Schneider. La consigliera federale aveva precisato che in primo luogo Sarco non soddisfa i requisiti sulla sicurezza dei prodotti, e secondariamente l’uso dell’azoto al suo interno non è compatibile con la legge sui prodotti chimici.

Il tema è poi approdato anche sul tavolo del Consiglio di Stato ticinese, che rispondendo a un’interrogazione aveva sottolineato che «alla luce delle posizioni espresse da vari attori già negli scorsi mesi, inclusa Swissmedic, che non considera la capsula né un medicamento né un dispositivo medico» guarda con «estremo scetticismo all’eventuale introduzione di Sarco». Inoltre, «il dispositivo potrebbe comprometterne la prassi consolidata in Svizzera, che si fonda sul rispetto della dignità umana e sull’accompagnamento medico-professionale».

Nel frattempo anche «The last resort» ha sospeso le domande di utilizzo della capsula.