Realtà di frontiera

Al di là del confine, silenzio e speranze

Da Maslianico a Colverde e a Ronago e Valmorea e Uggiate non circolano più le sarabande di macchine e persino le voci dei bambini si fanno più rare - Intanto i frontalieri sopportano le code e le prospettive troppo incerte
© CdT/Gabriele Putzu
Bruno Profazio
13.03.2020 18:17

Nei giardini delle case e nei prati lungo le strade in quest’area di confine sono spuntate tante margherite e fiori colorati e i gigli delicati. Un annuncio dell’imminente primavera. Che contrasto con l’inverno sociale portato dal coronavirus che improvvisamente ha gelato la vita delle comunità. Nelle vie dei paesini, da Maslianico a Colverde e a Ronago e Valmorea e Uggiate non circolano più le sarabande di macchine e persino le voci dei bambini si fanno più rare. Nel silenzio ovattato si avvertono come mai prima così nitidamente i cinguettii degli uccelli sugli alberi; cercano briciole e si spingono fin sui balconi e sui davanzali.

Nei palazzi di Como e tra le villette dei paesini la maggior parte delle persone responsabilmente se ne sta al chiuso cercando un riparo aspettando che la tempesta passi. Così è tutto un tirar su le tapparelle e aprire le gelosie e uno scostare continuo delle tende per curiosare sul mondo là fuori, per distrarsi gettando uno sguardo sulla strada semivuota. Quando s’incrociano gli occhi, un gesto della mano per un timido saluto - sempre gente riservata - e una ancor più flebile speranza che tutto passi presto.

I segni della rivoluzione

Pochi elementi fanno capire da subito che nel volger di poche ore tutto è cambiato. Basta un giro nei supermercati per verificare di persona come la prudenza e la paura abbiano rallentato ogni attività umana. Fuori dal Centro commerciale Porta d’Europa di Montano Lucino, così come in quello di Tavernola, gli spazi di sosta delle auto non sono più pieni come lo erano pochi giorni fa. Non si fa più la fila per trovare un posto libero. E nota ancora più sorprendente non ci sono più targhe svizzere, e ticinesi in particolare. Prima erano tantissime. Quasi una su tre. Ora sono tutte auto italiane. Davanti a centri commerciali fino a poche settimane fa terribilmente affollati oggi si fa fatica a incrociare qualcuno che si conosce. Non è più tempo di incontri e di appuntamenti della serie "ci vediamo al Bennet".

Un altro segno che ricorda i Paesi poveri di un tempo dell’Est Europa sono le file fuori dalle farmacie, dai negozi e dai market. La gente sta con i carrelli a debita distanza, quasi tutti indossano la mascherina e aspettano con pazienza che arrivi il turno per entrare. Non più di otto per volta e lontani almeno un metro l’uno dall’altro. Ancora una evidenza è data dalle strade non più trafficate e in alcuni paesi addirittura desolatamente vuote. Un’automobile che passa non è più il segno fastidioso eppur necessario della nostra civiltà ma un simbolo di normalità che si osserva con attenzione, con simpatia, quasi con calore. Incutono timore, però, i posti di blocco delle forze dell’ordine per controllare chi va in giro.

Ancora qualcosa che non eravamo abituati a vedere: la frontiera chiusa. Le dogane minori sono state sigillate e le transenne indicano l’improvvisa riduzione di libertà al confine a Pedrinate, a Ponte Faloppia, a Novazzano e altri punti ancora che erano i luoghi del nostro sentirci quasi una stessa comunità. Ne stanno facendo le spese gli oltre 65 mila frontalieri comaschi, varesini e piemontesi che sono costretti in questi giorni a interminabili code per passare la frontiera. Misure necessarie per bloccare il nemico invisibile che sta minando la nostra sicurezza, salute e libertà.

Qualche segnale positivo

In mezzo al grigiore di questo dramma si leva qualche voce positiva. "Noi nonostante tutto andiamo bene - commenta Mario Pittorelli, patron della Bianchi Group italiana, società di spedizioni -. Abbiamo ancora lavoro perché le ditte vogliono spedire, effettuare le consegne. Ci chiedono anche di aprire magazzini all’estero, ma sinceramente in questa condizione non è possibile. Così abbiamo riempito i nostri depositi. Il problema sorge con le spedizioni all’estero per i blocchi alle frontiere. Ci siamo organizzati, però. In molti casi mandiamo un camion dall’Italia alla Spagna e lo incrociamo con uno che dalla Spagna deve venire in Italia: alla frontiera gli autisti si scambiano i posti e gli spagnoli se ne vanno con il mezzo che abbiamo mandato dall’Italia e i nostri salgono su quelli diretti da noi. Funziona con alcuni Paesi, è un’ottima soluzione per superare i divieti di ingresso". Pittorelli spezza più di una lancia a favore dei frontalieri: "Non mi sembra giusto che debbano sottoporsi a lunghe ore d’attesa al confine: gli fanno compilare i moduli del ministero e dopo una giornata di lavoro non mi pare corretto costringerli a snervanti attese".

Attesa di qua e di là dal confine

Un cauto ottimismo anche da Simone Moretti, sindaco di Olgiate Comasco, un centro che conta 911 frontalieri secondo l’ultimo censimento, quasi il 10% dell’intera popolazione. "La preoccupazione per loro era tanta - confida Moretti -. Domenica sera cercavamo di capire quale fosse il loro destino e con il sindaco di Lavena Ponte Tresa ci siamo attivati per confermare la loro possibilità di lavorare. Le code per i frontalieri sono un peso insopportabile. Penso però che dopo questa prima settimana di rodaggio le cose potranno migliorare. Si vedrà. Aspettiamo di capire cosa decide Berna. C’è tanta preoccupazione. Ne vanno di mezzo molte famiglie".

Il clima è di timorosa attesa di qua e di là dal confine. In giro si vede davvero poca gente. Nel pomeriggio, quasi tutti con la mascherina, escono quelli che portano fuori il cane. Sul lungolago di Como i passanti si contano sulle dita di una mano. Solo una coppia, entrambi con mascherina, porta una ventata di leggerezza, mentre lungo il Breggia tra via Brogeda e Pizzamiglio si notano due persone di qua e due di là dal confine costituito dal fiume. Vanno piano, si tengono a distanza. Di qua e di là dal fiume la stessa emozione. Sono le 16.30. Tra poco scatta il "coprifuoco".

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