«Alcolismo: il contatto umano prima di tutto»

LUGANO - Ha diretto il Centro residenziale di Ingrado a Cagiallo dalla sua apertura fino a pochi giorni fa. Ora Jann Schumacher ha lasciato l’incarico per intraprendere altre attività, ma l’emozione per l’addio dopo 22 anni in cui ha condiviso storie e vissuti di chi è confrontato con la dipendenza dall’alcol e con il team di operatori che se ne occupano è forte. Abbiamo incontrato Schumacher che ci ha raccontato la sua esperienza e la realtà del centro nato nel 1997, che tutt’oggi è l’unico del suo genere in Ticino.
Di formazione psicologo, lei è specializzato nelle problematiche legate alle dipendenze: qual è stato il suo percorso professionale che l’ha portata a dirigere il centro di Cagiallo?
«Ho iniziato ad occuparmi di alcolismo lavorando in ambulatorio per l’allora Servizio ticinese di cura dell’alcolismo e altre dipendenze (STCA), che poi è diventato l’attuale Ingrado-Servizi per le dipendenze. Nel 1997 sono stato incaricato di aprire e gestire il centro di Cagiallo, dove sono rimasto fino alla fine di aprile di quest’anno. Sono anche presidente dell’associazione dei professionisti delle dipendenze Ticino Addiction, con cui gestiamo a livello cantonale e federale vari aspetti legati alla politica delle dipendenze».
Il centro di Cagiallo è il primo e unico presidio di cura e riabilitazione in ambito stazionario per persone adulte in Ticino. Nei 22 anni di attività ha accolto oltre 600 persone. Come mai è stato aperto in Capriasca?
«Siamo arrivati a Cagiallo anche grazie all’ex sindaco Corrado Piattini che ci aveva segnalato l’ex albergo Sorriso di Cagiallo. È un luogo dove ci siamo sempre trovati bene: l’accoglienza locale è stata sempre molto positiva, anche perché inizialmente nello stesso edificio c’era il Municipio. L’integrazione è stata mantenuta negli anni, grazie in particolare ai laboratori e al progetto delle bibliocabine, che abbiamo aperto un po’ in tutta la Capriasca. Organizziamo anche serate letterarie o altri eventi».
Chi sono gli ospiti della struttura e per quanto tempo soggiornano?
«Non c’è una tipologia prevalente, sono persone di età, formazione e provenienza diverse. L’alcolismo è una dipendenza trasversale. Comunque i giovani sotto i trent’anni sono una minoranza perché di solito chi arriva a necessitare di un ricovero ha già alle spalle un lungo percorso di dipendenza. La durata del soggiorno è variabile: possono essere pochi mesi (persone che hanno una situazione personale non troppo compromessa). Oppure ci sono casi più complessi, in cui il soggiorno si prolunga anche oltre un anno, quando la dipendenza è accompagnata da una somma di problematiche legate alla salute, alla condizione economica, professionale o famigliare. Il team del centro comprende figure di vario tipo che garantiscono un approccio multidisciplinare. Una parte impegnativa del lavoro riguarda comunque il reinserimento sociale una volta terminato il soggiorno».
Che cosa è cambiato dagli anni ‘90 ad oggi?
«La tipologia di utenti non ha subito evoluzioni, ma in generale si possono evidenziare alcune tendenze. Rispetto agli anni ‘90, oggi le persone raramente presentano una dipendenza solo dall’alcol, quasi sempre consumano altre sostanze. Un altro aspetto emerso recentemente è che il consumo di alcol è dato da una difficoltà generale nel contenersi, che si rispecchia anche nel rapporto con il mondo digitale, facendo emergere problematiche nuove. Negli anni è poi cresciuta anche la difficoltà nel reinserimento sociale: i pazienti faticano sempre di più a trovare soluzioni abitative o professionali a causa della loro situazione. In altri Paesi ora si sta diffondendo il modello “Housing first”, che si basa sulla teoria secondo cui alla base di qualunque percorso di reintegrazione vi debba essere la messa a disposizione di uno spazio personale: prima di tutto si dà una casa, poi si lavora al reinserimento, poi si lavora sulla cura».
Ma quindi alla luce di questa tendenza ha ancora senso puntare sulla presa a carico di tipo residenziale?
«Il settore è in evoluzione, basti pensare che anche in Ticino sono diminuiti i centri residenziali: sono rimasti solo Villa Argentina per le tossicodipendenze e Cagiallo per l’alcolismo. Questo anche perché è migliorata la presa a carico a livello ambulatoriale. Il residenziale stesso ha subito un’evoluzione e la discussione sul futuro è in corso a livello cantonale e federale. Resterà comunque fondamentale per le persone che necessitano di un contesto protetto per stabilizzarsi e affrontare un percorso terapeutico o riabilitativo».
A livello personale, come ha vissuto il contatto con gli ospiti di Cagiallo e con le loro storie?
«Ho sempre mantenuto un contatto diretto con i pazienti, svolgendo personalmente colloqui e partecipando all’elaborazione dei piani di cura. Dopo 22 anni l’addio a questa realtà è stato molto commovente. Al momento dei saluti la lacrimuccia me l’hanno fatta venire proprio i pazienti con l’affetto che hanno dimostrato! Ho sempre ritenuto che il contatto umano fosse l’aspetto più importante in questo ambito: ciò che conta è dare un’accoglienza adeguata a persone che hanno un vissuto molto difficile. Il lavoro dell’équipe è impostato da un lato su un’accoglienza senza pregiudizi e dall’altro su un lavoro professionale di presa a carico a tutti i livelli (medico, psicoterapeutico e di reinserimento sociale e professionale). Per chi lavora nel residenziale l’aspetto umano è ancora più forte, proprio perché pazienti e operatori stanno costantemente a contatto diretto. È un’esperienza a volte difficile ma molto arricchente. Queste persone hanno bisogno di essere ascoltate, accettate e aiutate a ritrovare un’autonomia. Molti pazienti poi restano in contatto con noi e alcuni sono tornati a trovarci. Due anni fa abbiamo festeggiato i 20 anni del centro ed erano presenti alcuni dei primi pazienti, è stato molto bello rivederli».
Ora come prosegue il suo percorso professionale?
«Intensificherò il mio impegno in enti, commissioni e gruppi di esperti che operano sugli aspetti concettuali e strategici a livello federale, sempre sul tema delle dipendenze».