Alfieri: «L'accordo fiscale ha avuto una genesi difficile, così si butta via tutto e si torna all'antico»

La difficoltà nel reperire personale nel settore sanitario, da qualche anno a questa parte, è un tema che ha fatto parecchio discutere in Italia, così come in Ticino. Da entrambi i lati della frontiera, infatti, dalla pandemia in poi sono fioccate proposte, sul piano politico e non, per fronteggiare la carenza di infermieri e medici sul proprio rispettivo territorio. Nel 2023, nella vicina Penisola questo «dossier» ha subito una visibile accelerata. A inizio anno, infatti, il ministro italiano dell’economia e delle finanze, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha iniziato a parlare della possibilità di introdurre un «premio fiscale di confine» per cercare di contrastare la «concorrenza insostenibile» tra gli stipendi italiani e quelli elvetici. E ora, per la prima volta, quella stessa proposta è stata messa nero su bianco all’interno della bozza della Legge di bilancio 2024. Un documento che, in soldoni, rappresenta il «preventivo» che il Governo italiano stila ogni anno e che il Parlamento è chiamato ad approvare entro il 31 dicembre. Ebbene, nella prima bozza del documento, un po’ a sorpresa, è stata inserita all’articolo 50 una misura chiamata «Contributo al servizio sanitario nazionale». Essa, in estrema sintesi, prevede a partire dal 1. gennaio 2024 una nuova tassa per i «vecchi» frontalieri, ossia quelli che hanno iniziato a lavorare in Svizzera prima del 18 luglio 2023, quando ancora non era in vigore il nuovo accordo bilaterale tra Italia e Svizzera sulla fiscalità dei frontalieri. Un prelievo fiscale (compreso tra il 3% e il 6% del reddito netto) che andrebbe – leggiamo dalla bozza della legge di bilancio – «al sostegno del servizio sanitario delle aree di confine» e in particolare «a beneficio del personale medico e infermieristico sotto forma di premio di frontiera».


«Una misura calata dall’alto»
Apriti cielo. In Italia, le reazioni da parte dell’opposizione non sono tardate ad arrivare. «Prendiamo atto che la Lega vuole fare cassa sui frontalieri per coprire i fallimenti della sanità lombarda. Lo chiamano ‘‘contributo al servizio sanitario nazionale’’, ma è uno scippo», ha dichiarato negli scorsi giorni Toni Ricciardi del Partito democratico (PD).
Dello stesso avviso anche il collega varesino Alessandro Alfieri. «L’accordo fiscale ha avuto vita complicata e difficile, e si è riuscito a siglarlo perché avevamo trovato un buon metodo di condivisione delle scelte tra i soggetti coinvolti. Questo Governo invece butta via tutto e torna all’antico, calando dall’alto una scelta che più che nel merito è completamente sbagliata nel metodo», ha spiegato in una conferenza stampa, citato dal portale Varesenews. Ma non solo. Alfieri, nel merito, ha pure criticato la mancanza di «progressività» della nuova tassa, che colpirebbe tutti allo stesso modo, a prescindere dal reddito.
Da questo lato della frontiera, invece, è stata l’OCST a sollevare qualche perplessità. In primis, in una nota pubblicata sul proprio sito, il sindacato ha rilevato che «il Governo ha stabilito questa manovra senza prima discuterne minimamente con le parti sociali del proprio Stato». Detto ciò, l’OCST spiega pure di condividere il «principio di fondo» che sta dietro questa scelta. E ciò, in sintesi, poiché il servizio sanitario italiano viene alimentato dalle imposte sul reddito che però i «vecchi» frontalieri non pagano (poiché tassati unicamente in Svizzera) pur usufruendo della sanità italiana. Ecco perché, appunto, l’OCST condivide il principio di far pagare un contributo a chi usufruisce di questo servizio pubblico. Ciononostante, il sindacato non condivide l’aliquota dal 3% al 6%, giudicata «eccessiva», anche perché «introdotta tutta ad un tratto» e «senza alcuna gradualità».
«Ma è solo una bozza»
Di diverso avviso, ovviamente, il consigliere regionale lombardo Emanuele Monti (Lega), presidente della Commissione permanente Sostenibilità sociale, casa e famiglia. Contattato dal CdT, infatti, ha così commentato le reazioni alla proposta del Governo: «Oggi leggo titoli di giornali reboanti e dichiarazioni di sindacati o esponenti politici che tirano già le conclusioni, ma bisogna fare una premessa: la vicenda sarà lunga. È inutile parlare di cifre in questo momento, visto che si parla di una bozza. Il testo effettivo dovrà passare alla Camera, al Senato e poi pure alle Regioni. C’è già chi fa i calcoli nelle tasche di medici e infermieri, quando invece siamo solo all’inizio». Insomma, ci sarà tutto il tempo per discussioni, interpretazioni e anche interventi correttivi. Detto ciò, nel merito della proposta, Monti aggiunge: «Come consigliere regionale che per anni ha seguito le questioni sanitarie accolgo con grandissimo piacere questa misura. Finalmente viene inserita una norma che prevede maggiori stipendi per il nostro personale sanitario di confine e di cui beneficeranno sia gli italiani che gli svizzeri». Per Monti, infatti, «il differenziale salariale rimarrà comunque più vantaggioso per chi sceglie di recarsi oltre confine, ma gli ospedali italiani diventeranno più attrattivi per il personale sanitario che non vive nelle province vicine alla Svizzera». E, parlando della situazione nel nostro cantone, il consigliere regionale aggiunge: «In Ticino ci sono molti frontalieri, questa misura potrebbe ridurne l’attuale numero. Inoltre, ridurre il rischio che gli ospedali al confine chiudano per carenza di personale previene un possibile aumento di operatori sanitari italiani in Ticino». Concretamente, dunque, «ci saranno sempre infermieri che preferiranno la Svizzera, ma dietro di loro altri professionisti sceglieranno Luino, Cittiglio, Varese o Como, perché pagati meglio che, ad esempio, a Novara o Piacenza».


Nel nostro cantone
Il Dipartimento della sanità e socialità (DSS), da noi contattato premette che «questa misura avrebbe ricadute sull’attrattività delle condizioni di impiego del personale sanitario e sociosanitario oltre confine» e perciò «non compete al DSS entrare nel merito della politica fiscale di un Paese limitrofo». Allo stesso tempo, il DDS fa sapere di aver «preso atto del chiaro indirizzo strategico attuato negli ultimi mesi in questo settore». Detto ciò, il Dipartimento si dice «consapevole della necessità di continuare a rafforzare l’attrattiva della professione», ad esempio attraverso «l’impegno preso con l’attuazione del Piano d’azione Prosan 2021-2024, che mira a incrementare il personale residente nelle professioni sociosanitarie e che in buona parte anticipa le misure previste dall’attuazione dell’iniziativa popolare ‘Per cure infermieristiche forti’». Per il DSS, «al di là della necessità di far capo al bacino lombardo per coprire il fabbisogno, l’obiettivo prioritario rimane quello di allargare il numero di giovani residenti formati».