L'intervista

«Alla scuola serve un DFA forte, la politica deve tenerne conto»

Dal 1. gennaio, dopo l'annunciata partenza di Alberto Piatti, il direttore della SUPSI Franco Gervasoni assumerà ad interim la direzione del DFA - Lo abbiamo incontrato per fare il punto in vista di questo importante passaggio
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
03.11.2025 06:00

Il Dipartimento formazione e apprendimento/Alta scuola pedagogica (DFA/ASP) della SUPSI si prepara a un cambio di conduzione. La partenza, dopo 16 anni, di Alberto Piatti apre un periodo di interinato che verrà affidato dal 1. gennaio al direttore della SUPSI Franco Gervasoni. Lo abbiamo incontrato per fare il punto in vista di questo importante passaggio.

Direttore Gervasoni, la recente nomina da parte del Consiglio della SUPSI di Alberto Piatti come nuovo direttore del mandato della Formazione continua segue il difficile momento vissuto ad aprile dal DFA/ASP. Era necessario stabilire un nuovo indirizzo?
«La decisione di Alberto è di natura personale, legata alla possibilità di assumere un nuovo ruolo all’interno della SUPSI. Sono occasioni che si presentano di rado. Dopo 16 anni, Alberto Piatti ha quindi scelto di cogliere questa opportunità. Da parte nostra, è evidente che un direttore di mandato con un’esperienza così ampia e diversificata all’interno della SUPSI rappresenta una risorsa preziosa per il ruolo di direttore della Formazione continua. Desidero tuttavia sottolineare che non vi è alcun legame tra le discussioni riguardanti i docenti di italiano e la sua decisione. Quindi, no. Non si tratta di stabilire un nuovo indirizzo».

L’errata previsione del fabbisogno di docenti ha richiamato l’attenzione della politica, evidenziando alcune criticità organizzative all’interno del DFA/ASP. In che modo intendete intervenire, in futuro, per correggere queste lacune?
«Da 16 anni collaboriamo con il DECS per uno dei compiti principali previsti dal nostro contratto di prestazione: garantire un’adeguata copertura del fabbisogno di docenti. Grazie a questo lavoro, il Ticino è riuscito a evitare la grave penuria di insegnanti che ha colpito invece altri cantoni, dove si è dovuto ricorrere in modo significativo a pensionati o a persone prive di formazione. In questi anni abbiamo formato oltre 2.500 docenti, un impegno considerevole. La maggior parte sono attivi nella scuola ticinese. È inoltre importante ricordare che la previsione del fabbisogno non è un esercizio semplice: incide la demografia, ma anche le scelte professionali dei docenti e le specificità delle singole materie, che presentano squilibri significativi tra domanda e offerta. Il nostro compito è quindi duplice: offrire ai giovani percorsi formativi coerenti con le loro aspirazioni e rispondere alle necessità del principale datore di lavoro, il DECS. In questo senso, la creazione dell’Osservatorio da parte del DECS rappresenta una scelta strategica importante: permetterà di monitorare i dati sul fabbisogno e di migliorare la capacità di adattamento del sistema formativo a fronte di cambiamenti anche repentini, dettati anche da decisioni politiche. Pensiamo ad esempio all’anticipo in prima media dell’insegnamento del tedesco».

Le voci critiche riguardanti il DFA/ASP - oltre ad essere legate al caso specifico degli insegnanti d’italiano formati e poi rimasti senza lavoro – hanno toccato aspetti riguardanti anche la struttura e l’offerta formativa. Come vi ponete di fronte a queste manifestazioni di malessere?
«Le critiche vanno prese sul serio, e non c’è alcuna sottovalutazione degli elementi emersi. Allo stesso tempo, è importante mantenere un approccio oggettivo. I nostri percorsi formativi sono regolarmente sottoposti ad audit esterni e indipendenti, che coinvolgono tutte le componenti e i portatori di interesse, studenti, docenti e partner istituzionali. Da queste analisi emergono azioni di miglioramento concrete, che vengono attuate e rese pubbliche. Non posso condividere l’accusa che manchi uno sguardo autocritico o la volontà di migliorarsi: l’autovalutazione e il miglioramento continuo fanno parte integrante della nostra cultura istituzionale, e i risultati di questi processi lo dimostrano».

Un tema che mi sta particolarmente a cuore riguarda la distinzione e la chiarezza dei ruoli e delle responsabilità tra la scuola universitaria e i datori di lavoro pubblici

Concretamente, quali sono gli aspetti che sollevano le criticità maggiori?
«Dalle citate procedure emerge spesso la richiesta di maggiore flessibilità, in particolare per favorire la conciliazione tra studio, lavoro e vita privata. Abbiamo già introdotto numerose misure in questa direzione e ne presenteremo di ulteriori il 2 dicembre, con la presentazione dell’offerta formativa 2026-2027. Va però ricordato che le nostre formazioni hanno l’obiettivo di mantenere il riconoscimento a livello intercantonale. Ciò comporta il rispetto di criteri stabiliti dalla Conferenza dei direttori della pubblica educazione, che definiscono standard e requisiti precisi. Queste condizioni garantiscono la qualità e la validità dei titoli rilasciati ai nostri laureati in tutta la Svizzera. Oltre a ciò, le maggiori discussioni interne riguardano la revisione dei percorsi formativi, in particolare, il modo in cui integrare al meglio la didattica generale, la didattica disciplinare e le attività pratiche. Allo stesso tempo, alcune osservazioni emerse nel dibattito pubblico hanno dato grande risalto a testimonianze puntuali su singoli aspetti, come la relazione tra docenti e studenti. Tuttavia, le rilevazioni interne e le indagini di soddisfazione mostrano che proprio questo elemento viene valutato in modo generalmente positivo dagli studenti».

Il DECS ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro incaricato di approfondire le attuali modalità di formazione dei docenti. C’è, dal suo punto di vista, un aspetto prioritario da valutare?
«Un tema che mi sta particolarmente a cuore riguarda la distinzione e la chiarezza dei ruoli e delle responsabilità tra la scuola universitaria e i datori di lavoro pubblici. L’evoluzione delle alte scuole pedagogiche in vere e proprie scuole universitarie ha reso più netto – e a mio avviso virtuoso – il principio secondo cui la SUPSI ammette, forma e laurea gli studenti, mentre i Cantoni e i Comuni assumono e gestiscono i docenti una volta diplomati. È fondamentale mantenere un dialogo costante tra queste due realtà, come già avviene attraverso tavoli e gruppi di coordinamento, ma preservando l’autonomia e l’indipendenza dei rispettivi ruoli. Alcune proposte attuali tendono invece a rendere più interdipendenti queste responsabilità – ad esempio, l’idea di ammettere alla formazione solo persone già assunte – ma ciò rischierebbe di compromettere la chiarezza dell’attuale modello. È uno degli elementi che verrà approfondito nei prossimi mesi all’interno di uno specifico Gruppo di lavoro attivato dal DECS».

Si apre ora un periodo di interinato che sarà affidato a lei. Quali saranno le sue priorità in questa fase di transizione e per quanto tempo prevede che durerà?
«L’interinato avrà una durata di tre o quattro mesi, al massimo un semestre. La mia priorità sarà garantire continuità e valorizzare quanto è stato costruito finora. Ho la fortuna di poter contare su una direzione solida e affiatata, che lavora insieme da molti anni e dispone delle competenze necessarie per accompagnare al meglio questa fase di transizione. Anche il clima interno è molto positivo, e questo mi rende fiducioso sulla possibilità di proseguire con serenità e coerenza quanto realizzato finora».

Guardando al futuro del DFA/ASP qual è il suo auspicio?
«Che la politica sappia riconoscere quanto il Ticino abbia bisogno di un DFA/ASP forte per garantire la qualità del proprio sistema scolastico. Il nostro ruolo non si limita alla formazione di base dei futuri docenti. Il DFA/ASP non è solo – mi permetta di dire – i 13 docenti di italiano che purtroppo non hanno trovato lavoro subito, ma comprende anche la formazione continua degli insegnanti già attivi e la ricerca: due ambiti di cui si parla poco pubblicamente, soprattutto in queste discussioni, ma che sono basilari per un sistema educativo forte, per l’innovazione didattica e per l’impatto concreto che hanno nelle scuole ticinesi. Guardando al futuro, quindi, auspico che il DFA/ASP continui a rafforzare la propria dimensione universitaria, fondata sulla ricerca, sulla collaborazione con il territorio e sul dialogo costruttivo con tutti gli attori del sistema educativo. Solo così, in collaborazione anche con la SUFFP che si occupa della formazione dei docenti delle scuole professionali, potremo consolidare un modello formativo capace di sostenere e far evolvere la scuola ticinese nel tempo».