Allergie alimentari: attenzione a quello che potete trovare nel piatto

Qualche cucchiaio di dessert. Lo shock anafilattico. Il coma. La morte. In Italia si cerca di fare chiarezza sul decesso di una ragazza di 20 anni, colpita da un malore dopo aver mangiato un tiramisù vegano probabilmente contaminato da proteine del latte, a cui la giovane era fortemente allergica. Mentre si attende l'esito dell'autopsia, prevista per oggi, il fast food di Milano in cui lo scorso 26 gennaio si è consumata la tragedia si è smarcato da ogni responsabilità: i nostri cibi non contengono né latte né uova (la ragazza avrebbe assunto anche una maionese contenete uova, a cui era allergica in maniera molto minore rispetto al latte), quel tiramisù vegano è stato prodotto da un fornitore terzo e sull'etichetta non era indicata la presenza di latticini. Le indagini per stabilire eventuali responsabilità sono ancora in corso, ma la vicenda ha avuto un forte impatto sull'opinione pubblica, portando sotto ai riflettori il tema delle allergie alimentari e delle eventuali negligenze da parte dei fornitori di cibi. Approfondiamo l'argomento con il dottor Massimiliano Fontana, immunologo e allergologo, responsabile del servizio di Allergologia e Immunologia Clinica presso l’Ospedale Regionale di Mendrisio Beata Vergine.
Dottor Fontana, partiamo dalle basi: che differenza
c’è tra allergia e intolleranza alimentare?
«L’allergia coinvolge il sistema immunitario,
l’intolleranza no. Inoltre, le intolleranze non sono numerose, ad esempio al lattosio
e (meno frequentemente) al fruttosio (causa deficit enzimatico). Anche nel caso
della celiachia è coinvolto il sistema immunitario: si tratta di una complessa
reazione dei linfociti T contro la proteina glutine presente in frumento, orzo,
segale e avena. Le allergie invece sono direttamente legate a un differente ruolo
del sistema immunitario e sono potenzialmente più intense, nonché (raramente) pericolose.
Con un’intolleranza al lattosio, ad esempio, una persona al massimo può
avvertire gonfiore, dolori addominali e diarrea. Niente di più. Non soffrirà
mai di una reazione potenzialmente severa come quella provocata da una grave
allergia».
Quanto sono diffuse le allergie alimentari? Quanti
sono i casi considerati gravi?
«È importante precisare che i casi gravi di allergia,
che possono condurre a uno shock anafilattico, sono estremamente rari. Peraltro,
anche in alcuni casi rari di malattie autoimmuni o autoinfiammatorie il sistema
immunitario può essere all’origine di patologie importanti, ma nell’ambito di
un meccanismo biologico molto diverso. Ribadisco, le situazioni drammatiche
sono rarissime. Negli Stati Uniti, a titolo di esempio, si stimano 150 decessi
all’anno per allergie alimentari su una popolazione di 335 milioni di abitanti.
A titolo di paragone, sempre negli USA, i decessi annuali per incidenti
stradali sono ben 45000».
Com’è la situazione in Ticino?
«Non vi sono dati epidemiologici precisi per il
Ticino, ma, in generale, si stima che il 2% degli adulti e l’8% dei bambini
soffrano di allergie alimentari. Intendo sotto qualsiasi forma, non unicamente
quelle gravi. Vi sono quattro stadi di reazioni allergiche. Lo stadio I è a
livello cutaneo, essenzialmente orticaria. Lo stadio II si riferisce
all’angioedema, cioè una tumefazione importante, ad esempio, a livello di
labbra, palpebre, viso. Sempre nell’ambito dello stadio II si può soffrire
anche di disturbi intestinali, quindi forti dolori addominali, nausea, vomito e
diarrea. Si passa agli stadi dell’anafilassi. Lo stadio III è a livello
respiratorio, interessa la laringe o i polmoni. Infine, lo stadio IV è quello a
livello cardiovascolare con ipotensione arteriosa importante, che può condurre
allo svenimento o addirittura allo stato di shock. In questo caso vi sono
valori pressori alquanto ridotti».
Quando si parla di allergia alimentare, quali sono i
cibi più problematici?
«Premessa: chi produce derrate alimentari deve
obbligatoriamente dichiarare alcuni allergeni considerati potenzialmente
importanti. Questi sono: crostacei, pesci, molluschi, uova, Leguminose come arachidi,
soia e lupini, frutta a guscio (quindi mandorle, nocciole, noci, anacardi, noce
pecan, pistacchi, noci del Queensland, ecc…), sedano, senape, sesamo. Devono
essere dichiarati anche i cosiddetti solfiti, ossia piccole molecole con un
atomo di zolfo e due di ossigeno. I solfiti non sono proteine allergeniche e
originano più che altro reazioni pseudo-allergiche. Il risultato è uguale a
quello degli allergeni, ma il meccanismo è diverso. Solitamente sono contenuti
nel vino o in cibi contenenti conservanti. Infine, dell’elenco fanno parte pure
i cereali contenenti glutine: frumento – e apparentati come spelta, farro, kamut
e Manitoba –, segale, orzo e avena. Questi possono causare una celiachia. In
quanto allergeni, solitamente, i cereali non provocano una anafilassi. Vi è
però una situazione molto rara denominata “anafilassi alimentare indotta dallo
sforzo fisico”. Questa può colpire chi consuma frumento e nelle ore seguenti effettua
uno sforzo fisico importante. In ogni caso è un sottotipo molto raro dell’allergia
al frumento. Tutti gli allergeni citati finora devono essere riportati negli
ingredienti, a prescindere dalla quantità».
Quindi la celiachia non è una vera e propria
intolleranza alimentare…
«Esatto. Va considerata a parte rispetto alle intolleranze
alimentari, perché coinvolge il sistema immunitario, ma, allo stesso tempo, non
provocherà mai uno shock anafilattico. La celiachia è in grado di provocare
disturbi intestinali, malassorbimento e, raramente, irritazioni cutanee o afte
a livello orale. Non ha nulla a che vedere, in quanto fenomeno cellulare e
molecolare, con le allergie, ma può essere evidentemente parecchio fastidiosa».


Sulle intolleranze, invece, c’è spesso disinformazione
e vengono proposti rimedi non proprio convenzionali. Esistono esami validi per
«scovare» le intolleranze alimentari?
«Se non ci riferiamo ad allergia o celiachia, che abitualmente
possono essere oggetto di diagnosi precisa, basandosi su una base scientifica
solida, le vere intolleranze non sono numerose: abbiamo già citato quella al
lattosio e quella al fruttosio per carenza enzimatica (la diagnosi è possibile
tramite test respiratorio specifico), alla caffeina per intolleranza
farmacologica, ai solfiti. Per quanto riguarda i test cosiddetti non validati,
a livello di Società Svizzera di Allergologia e Immunologia (SSAI), insieme con
il professor Brunello Wüthrich siamo stati all’origine di una presa di
posizione ufficiale, co-firmata dagli altri membri della Commissione di
Specialità Clinica della stessa SSAI, pubblicata nel Bollettino dei Medici Svizzeri.
Queste pratiche di laboratorio sono costose e, giustamente, in generale le
casse malati non ne garantiscono l’assunzione dei costi. Sono esami che non
hanno base né valore scientifico, ciò che vale beninteso anche per una serie di
procedure di medicina alternativa/parallela. Ma è bene sottolineare che si
tratta di test non validati e non attendibili».
In questi anni si è sviluppata una maggiore conoscenza
rispetto alle problematiche alimentari? C’è più attenzione da parte dei
ristoranti?
«Ho notato una confusione molto pronunciata, ad
esempio, tra l’allergia alle proteine del latte e la semplice intolleranza al
lattosio. Una persona allergica alle proteine del latte può purtroppo ricevere
per errore latte senza lattosio. L’intolleranza al lattosio dà problemi generalmente
piuttosto banali, mentre un’allergia alle proteine del latte può avere
conseguenze severe. Spetta anche al paziente cercare di evitare questa trappola,
ma si tratta di una confusione molto frequente. Quando un cibo viene indicato
come vegano, ma in realtà contiene proteine del latte o dell’uovo, si tratta di
una grave negligenza. Tuttavia, non si deve creare eccessivo allarmismo, è
rarissimo che un paziente deceda per questi errori. Come
minimo bisognerebbe inserire la dicitura “può contenere tracce di…”.
Personalmente alle persone affette da allergie potenzialmente severe consiglio di
porsi sempre la domanda seguente: “Il cibo da me consumato è certamente privo
degli allergeni verso cui sono ipersensibile?”. Se la risposta non è “sì” in
modo inequivocabile, è meglio lasciar perdere. A casa propria è più facile, ma
fuori non si è al riparo da sorprese di questo tipo. Penso che comunque
l’attenzione sia aumentata negli ultimi anni, nonostante a volte vi siano
distrazioni da parte dei produttori, rispettivamente venditori di derrate
alimentari. Sebbene si tratti di situazioni rarissime che non devono indurre
all’apprensione, d’altro canto è giusto dare notizia di errori di questo tipo,
proprio per stimolare i fornitori di cibi ad essere più rigorosi».
Quali sono le precauzioni da prendere nel caso di
allergie severe?
«Oltre al fatto di evitare con attenzione gli
allergeni verso cui si è fortemente allergici, si dovrebbe avere sempre con sé
un kit di emergenza. In particolare, l’autoiniettore di adrenalina, che si
stima essere sottoprescritto e sottoutilizzato dai pazienti. L’adrenalina agisce
dopo pochi secondi ed è l’unico farmaco davvero efficace in fase iperacuta. Poi
si consiglia di avere con sé un antistaminico, che agisce dopo circa 20 minuti,
oltre al cortisone, che agisce dopo 4 ore soltanto. Inoltre, di fronte a
reazioni gravi, il paziente stesso, nel caso improbabile in cui dovesse svenire
prima di effettuare l’iniezione intramuscolare, dovrebbe essere aiutato da
qualcuno in grado di utilizzare una siringa di adrenalina. Devo citare ancora i
possibili cofattori che possono favorire l’intensità di una reazione allergica.
Questi sono, ad esempio, uno stato infettivo concomitante, anche banale;
l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei che, per effetto
metabolico, accentuano la reazione allergica; il consumo di alcol».