Arte e politica, Lugano al centro di un dibattito internazionale

In un mondo in guerra e sempre più polarizzato, anche la cultura è chiamata a interrogare sé stessa. E a farlo soffermandosi su temi complessi per i quali non esistono risposte semplici. «Arte e cambiamento politico», «Arti in conflitto: resistenza e speranza», «Sostenere l’integrità artistica in un mondo polarizzato», sono i titoli delle principali sessioni del congresso annuale dell’ISPA, in corso al LAC a Lugano. Un appuntamento che mette la città ticinese al centro di una gigantesca rete istituzionale, l’ISPA appunto, l’International Society for the Performing Arts (Società internazionale per le arti dello spettacolo) della quale fanno parte i principali enti culturali di tutto il mondo, oltre 500.
L’ISPA celebra due congressi annuali. Uno a New York, l’altro in una sede sempre diversa. Quest’anno dopo Singapore, Manchester e Perth è toccato a Lugano, un risultato che riempie di «orgoglio e soddisfazione» Michel Gagnon, direttore generale del LAC. «La presenza di ISPA a Lugano - dice Gagnon al CdT - certifica come il progetto decennale del LAC sia ormai conosciuto e riconosciuto dalla comunità internazionale artistica. Il fatto che siamo stati scelti e siamo in grado di ospitare il congresso è segno di un successo enorme. E l’appuntamento ticinese serve anche ad acquisire una maggiore consapevolezza del nostro ruolo».
La giusta reazione
«Qui a Lugano - dice ancora Gagnon – con ISPA abbiamo scelto insieme di discutere di arte e politica. Quanto sta accadendo ci pone domande a cui dobbiamo saper formulare risposte. Martedì c’è stata una sessione con Alicia Adams, storica presidente della programmazione internazionale del Kennedy Center di Washington, appena sollevata dal suo incarico per volontà di Donald Trump dopo 30 anni di servizio. Ci siamo chiesti come si debba reagire quando, ad esempio, la politica decide di intervenire sulla programmazione artistica di un grande centro culturale».
Chi fa il mio lavoro, continua il direttore generale del LAC, «si trova sempre più spesso di fronte a situazioni molto complicate. Quando abbiamo invitato l’orchestra di Israele per la Giornata della Memoria, non è mancata la discussione sull’opportunità di questa scelta. Lo stesso sarebbe accaduto se avessimo invitato un artista russo. E allora chiedo, e mi chiedo: che cosa è giusto fare? La nostra scelta è stata chiara: un centro culturale deve poter presentare la cultura di tutto il mondo. Cancellare il concerto sarebbe stato sbagliato. Perché quei musicisti portano avanti la propria arte, non il messaggio politico dell’attuale governo israeliano. Tuttavia, di nuovo, la risposta è complessa. E c’è bisogno di discuterne, per reagire nel modo più appropriato a queste situazioni».
L’ente autonomo
A Lugano, ricorda Gagnon, «la Città ha saputo interpretare correttamente il proprio ruolo. Quando è stato costruito il LAC, è stato anche creato un ente autonomo, che oltre a permettere una gestione più flessibile necessaria, ha anche dato una dichiarata indipendenza sulle scelte artistiche. Si tratta di un passaggio chiave: la programmazione di un ente come il LAC ha la responsabilità di essere una sorta di specchio di ciò che accade nel mondo e presentare ai cittadini tutta la cultura, senza distinzioni, scegliendo anche spettacoli che invitino a riflettere e dibattere sui temi importanti della società. Riusciamo a farlo? Credo che, così come in altre realtà, si possa fare di più, ma abbiamo una programmazione internazionale e una curatela attenta e propositiva. Anche se il LAC ha capacità limitate rispetto ad altri grandi enti qui presenti, la mia risposta è sì. Riusciamo a farlo, grazie anche alla ricerca e all’indipendenza artistica che ci viene riconosciuta. Cosa accadrà al Kennedy Center dopo che Donald Trump ha mandato via metà del consiglio e quasi tutti i programmatori? Sinceramente non ho una risposta, è una cosa mai successa, nemmeno negli anni della guerra fredda».
Il sostegno pubblico
Davanti all’inevitabile obiezione sulla opportunità che allora la politica sostenga l’arte, Gagnon risponde senza troppi dubbi: «un grande centro culturale - dice - ovunque nel mondo, ha bisogno del sostegno pubblico; diversamente, nessun progetto sarebbe sostenibile. Il LAC riceve dalla città un contributo pubblico del 50% del preventivo di spesa, l’altro 50% è coperto principalmente dalla biglietteria e il fundraising. Ed è giusto che sia così, per il mandato e l’impatto sociale che ha il LAC».
Resta il fatto che, negli ultimi anni, «tutto è diventato più difficile, soprattutto a causa delle guerre. Anche nel contesto svizzero, aperto e liberale, non mancano situazioni complicate da gestire. Questi quattro giorni di congresso ci stanno aiutando a riflettere e trovare risposte. Sono davvero molto orgoglioso del risultato che stiamo ottenendo».
Il LAC, conclude Gagnon, «è oggi il biglietto da visita della città, una carta vincente. Nel mondo della cultura c’è una città, Lugano, in grado di dire qualcosa di molto importante anche grazie al suo centro culturale, un progetto iniziato solo 10 anni fa».