Processo

Assassinio di Chiasso: chiesto anche il carcere a vita

Alla sbarra i due fratelli dello Sri Lanka che l’11 settembre 2024 tolsero la vita alla moglie di uno di loro, inscenando poi un malore – I due si rimpallano le responsabilità – Per l’accusa si è trattato di un assassinio
© CdT/Chiara Zocchetti
Lidia Travaini
16.12.2025 19:26

Ha sopportato a lungo, incapace di staccarsi dalla moglie, dall’amore della sua vita. Poi il soggiorno a casa loro dell’amante della donna (e non era il primo) ha decretato il punto di non ritorno. Quindi la scelta di uccidere la 40.enne nel loro appartamento in via degli Albrici a Chiasso. Ma di chi è stata questa decisione?

È questa la grande domanda attorno a cui ruota il processo per l’omicidio dell’11 settembre 2024 iniziato questa mattina di fronte alla Corte delle assise criminali presieduta da Amos Pagnamenta. Alla sbarra due fratelli dello Sri Lanka, uno di 45 anni (il marito) e l’altro 50.enne (il cognato, residente in Italia). Per il 45.enne la decisione di uccidere sarebbe stata proprio del fratello maggiore e sarebbe giunta durante il soggiorno dell’amante a casa loro, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 2024. Sua come molte delle scelte prese prima, durante e dopo l’aggressione che ha portato alla morte della vittima, ha sostenuto. Per lui la mente di tutto sarebbe quindi stata il fratello, che avrebbe anche soffocato con le proprie mani la donna, mentre il marito le teneva i piedi per evitare che si muovesse.

Questa è almeno la versione della storia del 45.enne, una versione da cui, inutile dirlo, ha preso distanza l’altro imputato, che ha cercato di far ricadere le responsabilità sul fratello. Per lui sarebbe stato il 45.enne a chiedergli di recarsi a Chiasso per parlare con la donna e risolvere la situazione con il dialogo. Però di parlare non c’è stata occasione, ha spiegato: «Entrato in casa mi sono seduto sul divano e gli ho detto di svegliare sua moglie. Dopo 15 minuti è tornato con un sacchetto, una foto e un paio di guanti. Gli ho chiesto cosa erano e lui mi ha detto che l’aveva uccisa». Molte però le contraddizioni dell’uomo, come gli ha fatto notare più volte Pagnamenta. «Mi sono dimenticato», ha risposto il 50.enne altrettante volte per provare a difendersi.

Ruoli contestati

Per il marito, ma anche per la titolare dell’inchiesta Chiara Buzzi, i due avrebbero agito insieme, con il 50.enne però a prendere buona parte delle decisioni. Decisivo sarebbe stato il soggiorno dell’amante – con cui la donna viveva ormai una relazione alla luce del sole, invece con il marito era separata in casa – a Chiasso. Insopportabile sia per lui, sia per il fratello, «particolarmente sensibile alle questioni di onore familiare», ha sottolineato la procuratrice pubblica. A lui si sarebbe rivolto il fratello, in cerca di aiuto per risolvere la «crisi» con la moglie.

Secondo il marito, in un primo momento l’idea del cognato era di parlare con la donna, per convincerla a rinunciare alla relazione extraconiugale e rimettersi con il 45.enne, ha spiegato quest’ultimo durante l’interrogatorio. L’arrivo a Chiasso dell’amante ha però portato a un drastico cambio di strategia: «Mio fratello mi ha detto che ormai era inutile parlare, bisognava uccidere, e io ho acconsentito». Il marito ha spiegato di sapere che la moglie lo tradisse con altri uomini, «ma dopo chiedeva scusa e tornava sempre con me, allora io la perdonavo». «Ma a lei andava bene che l’amante soggiornasse da voi?», lo ha incalzato Pagnamenta. «Stavo vivendo una vita inutile. Facevo tutto per mia figlia» è stata la replica.

Poi la pianificazione dell’uccisione, tramite soffocamento per inscenare un malore a letto, il coinvolgimento della figlia alla quale è stato chiesto di andare a svegliare la madre (però già deceduta) e sul comportamento da attuare dopo la morte per sviare i sospetti. Tutte azioni e decisioni di cui i due hanno cercato di evitare la responsabilità. Anche perché rilevanti al fine di determinare la pena (leggasi la qualifica del reato, se assassinio o omicidio intenzionale).

«Ha scelto di essere libera»

«Questo processo non riguarda un malore, né altro; riguarda una decisione. Una donna è stata uccisa perché non si è piegata, perché ha scelto di essere libera. Per questo per me è femminicidio. È stata uccisa in quanto donna che non ubbidiva, i due imputati hanno agito per controllo, per orgoglio, per possesso. Hanno scelto la modalità più subdola e solo una telecamere ha impedito che fosse il delitto perfetto e che venissero scoperti – ha dichiarato Buzzi durante la requisitoria –. E hanno anche costretto una bambina di 6 anni a trovare il corpo di una mamma». La magistrata ha invocato la condanna per assassinio in correità in quanto tutti e tre i presupposti per la configurazione del reato sono realizzati: premeditazione, movente, modalità e scopo particolarmente perversi. Di 19 anni di carcere la condanna chiesta per il 45.enne, mentre per il 50.enne è stata chiesta la carcerazione a vita. Per entrambi è stata chiesta l’espulsione per 15 anni. «Non aveva nemmeno motivo di intromettersi nella relazione e il suo comportamento non è credibile», è stato aggiunto per il 50.enne prima di invocare altresì l’accoglimento della pretesa di risarcimento di 60.000 franchi della figlia, costituitasi accusatrice privata.

Chiesto il proscioglimento

Nel corso della giornata dibattimentale ha preso la parola anche l’avvocata Giorgia Maffei, patrocinatrice del 50.enne. «Chiedo il proscioglimento del mio assistito perché non ha partecipato né materialmente né con altro ruolo all’uccisione della cognata», le sue parole. «Le dichiarazioni rese nei primi momenti dell’inchiesta sono le più affidabili e il 45.enne ha detto subito che era stato lui, poi ha iniziato a dire bugie e far ricadere le colpe sul fratello per uscire dal carcere e stare con la figlia. La verità è che ad aver fatto uccidere la moglie è il sentimento di disgusto e la vergogna che provava». Domani prenderà la parola la patrocinatrice del 45.enne Fiammetta Marcellini.