Sotto la lente

«Bastano poche parole per dire tutto il necessario»

Il poeta dialettale di Giubiasco Gian Paolo Lavelli ha pubblicato una nuova opera – La particolarità? I versi rispettano una breve struttura metrica originaria del Giappone del XVII secolo - «Al güst dal vöid comunica l’essenziale lasciando spazio all’interpretazione del lettore, che colma un vuoto»
L’autore Gian Paolo Lavelli. © CdT/Chiara Zocchetti
Davide Rotondo
Davide Rotondo
24.12.2022 06:00

Unire la poesia dialettale ticinese con le particolarissime forme metriche dell’Haiku giapponese non è certo un esercizio facile e immediato. Eppure c’è qualcuno che ha colto la sfida, cercando di avvicinare due mondi molto distanti. Ecco dunque che dalla penna del poeta giubiaschese Gian Paolo Lavelli sono usciti oltre 470 versi che vanno a comporre la collezione di recente pubblicazione «Al güst dal vöid» (Il gusto del vuoto). Ben 127 pagine (Fontana edizioni) di poesie in dialetto ticinese tradotte in italiano ma sempre rispettando le regole dell’Haiku: niente titolo e una metrica di 3 versi da 17 sillabe suddivise secondo la struttura 5/7/5. Il tutto accompagnato da un commento più articolato, ma sempre di poche righe, alla composizione. Un esempio? Eccolo: Regàl da Natal/dal pà luntàn a Parîs./E föra fiòca. Traduzione: Doni di Natale/dal papà parigino./E fuori fiocca. Commento: tutti i i regali natalizi sono graditi. Anche quelli che si ricevono, con un groppo in gola, da un papà lontano. Fa però freddo nel cuore.

«Novità letteraria»

«Credo che questo connubio sia una novità – spiega Lavelli –. Da un certo punto di vista è stato reso possibile dal fatto che per tanti anni sono stato anche giornalista freelance per diverse testate. Ricordo che ai tempi venivo pagato 10 centesimi a riga. Allora mi capitava di allungare un po’ il brodo per ricevere un compenso maggiore. Naturalmente le parti superflue venivano comunque tagliate. Nel giornalismo gli articoli devono essere della giusta lunghezza per poter essere impaginati nel modo corretto e bisogna trovare le parole adatte per farle stare nello spazio della pagina. Insomma, bisognava usare poche parole per dire tutto. Questo esercizio è sempre stato uno dei miei pallini. Ancora oggi mi diverto a fare giochi di parole con i titoli che leggo contando le sillabe. Un amico poi mi ha spinto a dare concretezza a questa passione». Una prima letteraria, dunque, ma anche la prima volta che il lavoro dell’83.enne viene riconosciuto attraverso il sostegno cantonale e l’aiuto federale per la lingua e la cultura italiana.

«Si salta di palo in frasca»

La prima opera di Lavelli arriva nel 1990, poi 11 anni di pausa e dunque un secondo volume. Oggi si contano 17 opere nell’arco di 30 anni. Tutte di poesia, tranne in un caso nel 2010. «Si è trattato di un esperimento di 100 racconti brevi in italiano tramite i quali ho raccontato i miei trascorsi («Il paese dei birignao»)». Il fatto che Lavelli usi quasi esclusivamente il dialetto però non deve trarre in inganno: i suoi lavori sono rivolti a tutti, spesso infatti sono tradotti in italiano. «Faccio anche uso di molti accenti per facilitare la lettura di chi non è molto pratico, in fondo ogni dialetto del Ticino ha le sue particolarità. Da buon giubiaschese, uso quello di Giubiasco e Bellinzona, che sono molto simili. In alcune occasioni però mi capita di usare quello della Morobbia». L’ultima pubblicazione punta molto sull’immediatezza, propria di questa tecnica originaria del Sol levante. Impulsi e sensazioni di ogni genere raccolti nel tempo e conservati su fogliettini sparsi. «Anche per questo motivo i temi saltano di palo in frasca. Dalla guerra ai formaggi». Ma perché questo titolo? «Inizialmente doveva chiamarsi A cascia d’un ségn (Alla ricerca di una traccia) – spiega Lavelli –. Poi ho ritenuto che l’estrema concisione dei versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestione, come una traccia che sta al lettore completare. Da qui Il gusto del vuoto perché più adatto». A 83 anni il poeta è ancora in attività. «Sto già lavorando alla prossima pubblicazione, che sarà sempre Haiku, ormai ci ho preso gusto e ho già 150 composizioni».