Calabria

Blitz anti-’ndrangheta, arrestato anche un ticinese

La persona finita in carcere è un 29.enne nato in Svizzera ma attualmente domiciliato a Como – È accusato di associazione mafiosa e di traffico di sostanze stupefacenti tra la Locride e le regioni del Nord Italia
© Carabinieri di Reggio Calabria

C’è anche un ticinese tra gli 81 arrestati di uno dei filoni dell’operazione anti-’ndrangheta «Millennium» condotta dai carabinieri in molte province italiane su ordine della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Reggio Calabria. Si tratta di un 29.enne, G. Z., attualmente domiciliato a Como ma nato in Svizzera. Il giovane è accusato di associazione mafiosa (416 bis) e traffico di stupefacenti. Secondo quanto riportato nell’ordinanza firmata dalla giudice per le indagini preliminari (GIP) Francesca Mesto, faceva parte della cosca Barbaro-D’Agostino e, come «mero partecipe dell’associazione» criminale, «collaborava costantemente» con altri affiliati negli «affari illeciti, occupandosi di organizzare i traffici di sostanze stupefacenti, soprattutto dalla Calabria verso la Lombardia».

Non è da escludere che parte della droga potesse anche finire oltrefrontiera, per quanto gli investigatori italiani non abbiano sinora mosso accuse specifiche in tal senso. Il 29.enne, si legge ancora nell’ordinanza, comunicava con gli altri ’ndranghetisti ricorrendo «ad applicazioni di messaggistica tipo “Signal” e, verosimilmente, a telefoni criptati», ma pure «con incontri riservati di persona». Secondo la giudice del Tribunale reggino, il giovane «coordinava» anche «e sovrintendeva le attività illecite» di alcuni complici egiziani (dei quali sono noti soltanto i soprannomi) sempre «in territorio lombardo».

A sostegno delle tesi d’accusa, nel provvedimento di custodia cautelare è riportato un episodio: una conversazione in auto tra il giovane ticinese e un altro affiliato. «Durante il tragitto», il 29.enne «si autoaccusava di aver detenuto e ceduto 5 pacchi (verosimilmente corrispondenti a 5 kg) di sostanza stupefacente del tipo “erba”».

Le conferme organizzative

L’operazione «Millennium» ha portato alla luce una struttura criminale stabile ed organizzata, frutto di un’alleanza («un unico corpo», hanno specificato i magistrati) tra cosche dei locali dei tre “mandamenti” di ’ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, sovraordinata alle singole articolazioni e a queste complementare, che gestiva il traffico di droga.

La struttura, secondo quanto emerso, si occupava, tra l’altro, di importare dall’estero (specialmente Colombia, Brasile e Panama) ingenti quantitativi di cocaina nascosta in container imbarcati su navi, e al successivo recupero attraverso il porto di Gioia Tauro, sfruttando la compiacenza di squadre di operatori portuali. La droga veniva poi distribuita su tutto il territorio nazionale, soprattutto in Lombardia, attraverso una ben rodata struttura organizzata e diretta dalle cosche.

I provvedimenti sono l’epilogo di indagini svolte dai carabinieri dei Nuclei investigativi reggini e della Locride, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, sin dal 2018, e raggruppano 5 procedimenti penali che riguardano, come detto, le maggiori consorterie di ’ndrangheta operanti nei tre mandamenti della provincia reggina: centro, jonico e tirrenico.

L’inchiesta ha confermato la caratteristica di unitarietà della ’ndrangheta ridisegnando e aggiornandone la composizione e i vertici, oltre a confermare l’attualità dell’esistenza della cosiddetta «provincia», l’organo collegiale che svolge una funzione di raccordo tra i «locali» reggini e quelli dislocate in altre regioni e all’estero, compresa ovviamente la Svizzera. La «provincia», affermano nuovamente i magistrati, regola ogni nuova costituzione di strutture di ’ndrangheta, ingerendosi anche nelle assegnazioni delle nuove cariche, garantendo il rispetto delle regole dell’associazione e dirimendo controversie tra gli associati.

«La “provincia”, come componente apicale della ’ndrangheta, continua a esistere, non è finita con l’operazione “Crimine” di 15 anni fa - ha detto il procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo - questa nuova inchiesta dimostra quanto sia assolutamente indispensabile lo strumento delle intercettazioni per aggiornare la fotografia della ’ndrangheta nel nostro territorio, in Italia e a livello mondiale».

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