Cambiano la musica, volano schiaffi e bicchieri

Può un futile motivo, come cambiare una canzone in un bar, essere la miccia che fa scoppiare una bagarre e mandare all’ospedale due persone? O meglio, è possibile che a trent’anni si finisca ancora in queste situazioni? Per il decreto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti sì, per i quattro imputati – tre fratelli e un amico – comparsi in Pretura penale perché ritenuti colpevole di rissa (uno è anche accusato di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari) «assolutamente no, perché nessuno sa com’è iniziato tutto e le accuse non collimano con la verità». I fatti che li hanno portati davanti al giudice Simone Quattropani risalgono al novembre del 2019, quando il gruppo si è scontrato con quello della Franklin University incontrato all’Irish Pub di Sorengo. Dopo una discussione nata per il cambio di musica nel locale – secondo quanto riportato nel decreto d’accusa –, uno dei fratelli ha sferrato un pugno a uno studente americano, che dopo essere caduto a terra ha perso conoscenza. Un fatto, questo, che ha dato il via alla bagarre con tanto di bicchieri di vetro lanciati contro gli universitari. Ad avere la peggio due ragazzi dei rispettivi gruppi, ricoverati in ospedale. Questo, però, è uno dei punti contestati dagli imputati: «Se fossimo stati noi a lanciare i bicchieri, com’è possibile che il nostro amico è finito in ospedale con dei tagli?».
«Nessuno ha tirato pugni»
Durante l’interrogatorio i quattro imputati hanno ripercorso passo per passo le dinamiche della serata. Dopo una cena in un ristorante, il gruppo si è fermato al pub di Sorengo per bere «ancora qualche birra o shot». Un altro amico (assente in aula perché non si è opposto al decreto d’accusa, che è cresciuto quindi in giudicato, ndr) ha iniziato a «strattonarsi» con uno studente. Da quel momento sono intervenuti sia il gruppo di amici che quello della Franklin per tentare di separarli. «Essendo piccolo il locale – hanno raccontato gli imputati – presto si è creata una mischia con al centro i due che si dimenavano per terra. Nessuno però ha tirato pugni. A un certo punto abbiamo visto volare dei bicchieri verso di noi e ci siamo accorti che uno di questi aveva preso il nostro amico». Gli imputati decidono così di scappare e nascondersi in un vigneto dietro al pub (uno di loro ritorna a casa).
L’arrivo della polizia
Uno degli imputati, dicevamo, è accusato anche di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, perché secondo il decreto d’accusa avrebbe commesso vie di fatto nei confronti di un agente della Comunale di Lugano, intervenuto sul posto, e tentato di sferrargli un pugno. Il 30.enne, però, si è difeso in aula dichiarando che «ho visto mio fratello immobilizzato da un poliziotto, che lo stava ammanettando, e un altro che gli tirava la sciarpa al collo. Lo stava di fatto strozzando. Non ho tentato di tirargli un pugno, l’ho solo spinto via. Ma quando sono stato messo a terra, le botte le ho prese anche io». L’intervento delle autorità nei confronti dei due è stato definito «sproporzionato e totalmente sbilanciato» anche dagli altri imputati.
«Erano clienti abituali»
Oltre a sentire le varie versioni del gruppo, il giudice ha anche letto più volte la deposizione fatta all’epoca dei fatti dalla barista, nonché gerente dell’Irish Pub. La donna ha sostanzialmente ribadito il contenuto del decreto d’accusa, dando ragione alla versione del gruppo di studenti. Un fatto, questo, che non è andato giù agli imputati. «Sono deluso che una persona possa fornire una versione così parziale – ha spiegato uno degli uomini alla sbarra –. È palese che dietro le dichiarazioni della barista ci siano solo interessi economici: noi in quel pub ci siamo andati solo qualche volta, mentre gli studenti della Franklin sono clienti abituali. E il loro portafogli non è sicuramente mai vuoto. È chiaro che la barista prende posizione in favore del suo business». Durante il corso dell’interrogatorio, Quattropani ha incalzato gli imputati ricordando loro che la versione fornita alla polizia la sera dei fatti non corrisponde esattamente a quella dichiarata in aula. «Volevamo solo andare a casa in quel momento, sarebbe stato meglio aspettare un attimo prima di interrogarci a caldo». Nei confronti del quartetto, la pp Pedretti propone pene detentive sospese comprese fra i 30 e i 45 giorni. La sentenza è attesa per inizio marzo.