Montagna

Capanna del monte Bar: il futuro è ancora nella nebbia

Per il Club Alpino non è facile trovare qualcuno a cui affidare il rifugio – La scelta del gestore in partenza: «A queste condizioni era difficile»
Viene qualcuno? (Foto Zocchetti)
Giuliano Gasperi
12.09.2019 06:00

La foto non inganni: il futuro della capanna del monte Bar è avvolto in una fitta nebbia. Dopo aver saputo che l’attuale gestore Alessandro Müller a fine novembre riconsegnerà le chiavi, il Club Alpino Svizzero non è ancora riuscito a trovare un sostituto con i requisiti richiesti e quindi ha deciso di prolungare le ricerche fino alla fine di questo mese, come spiega il responsabile delle capanne del CAS Edo Bulloni. «Di interessati ce ne sono, abbiamo ricevuto una decina di candidature, ma non ci danno sufficienti garanzie». Per prima cosa, secondo il nostro interlocutore, servono due responsabili. «La capanna non può essere gestita da una persona sola, anche se ha un buon team, perché la pressione è forte. Sarebbe ideale affidarla a un gruppo familiare, ma sappiamo che non è semplice trovarlo». Deve poi essere garantita una certa qualità dei piatti. Quello del Bar non è un rifugio di alta montagna che può puntare tutto sul trittico polenta-carne-formaggio: è una capanna abbastanza vicina alla «civiltà» e attira un pubblico numeroso (duecento coperti nelle domeniche buone) e diversificato nelle sue esigenze. Però non è nemmeno in concorrenza con il Villa Castagnola o lo Splendide Royal. Serve insomma una via di mezzo. Come dicono gli addetti ai lavori, cose semplici ma fatte bene. «Con l’ultima gestione, partita con due cuochi professionisti, abbiamo messo l’asticella abbastanza in alto, quindi capisco che chi non è del mestiere possa essere titubante» spiega sempre Bulloni. Inoltre ci sono dei paletti tecnici, per così dire: il CAS non assume, dà in gerenza la struttura e deve farlo subito, senza attendere che qualcuno si liberi da altri contratti. È un percorso a ostacoli, ma il Club non molla. «Non vogliamo darlo al primo che passa, nei prossimi giorni avremo altri appuntamenti». L’attesa è anche un’occasione per riflettere sul contratto da proporre ai potenziali partner. Le condizioni offerte sono ideali? Come mai Müller, pur con una buona affluenza, ha deciso di gettare la spugna? «Mandare avanti questa capanna può essere molto stressante – risponde Bulloni – e una cosa che stiamo valutando è prevedere un mese di pausa, in modo che i gestori possano staccare un po’». Al momento il rifugio è aperto tutto l’anno, ad eccezione dei lunedì, martedì e mercoledì invernali. I termini finanziari invece non dovrebbero cambiare. «Di affitto chiediamo 42 mila franchi l’anno e, come per tutte le nostre capanne, la metà dei ricavi dai pernottamenti, che ammontano a circa 70 mila franchi l’anno. A chi prende in mano la capanna restano uscite per circa 7 mila franchi più le spese per il personale, che bisogna cercare di contenere. E i ricavi della ristorazione. Da parte nostra – conclude Bulloni – non possiamo fare di più, perché dobbiamo ammortizzare l’investimento per la costruzione della capanna». Anche Alessandro Müller assicura che non avrebbe potuto fare di più. «Quella del Bar – premette – è una capanna dove non ci si può limitare a polenta, spezzatino e torte proposti a prezzi bassi, altrimenti è impossibile coprire le uscite. Ci sono le spese per il personale che sono necessarie per garantire un certo servizio (il suo team è composto da quattro elementi fissi più gli aiuti, ndr) e poi quelle fisse per acqua ed elettricità. Noi sui prezzi siamo limitati: quando abbiamo provato a portare le fette di torta da 5 a 6 franchi abbiamo subito ricevuto lamentele, perché ‘siamo in una capanna’, ma così diventa difficile». Müller ritiene svantaggioso anche l’accordo sui pernottamenti. «Avevo proposto di dare un fisso annuale al CAS, così avrei potuto offrire dei pacchetti in modo autonomo. L’unico pacchetto possibile invece è la mezza pensione, il cui prezzo è stabilito dal Club. Nonostante le mie richieste, le condizioni non sono mai cambiate – commenta amaro il cuoco – Dopo la disdetta si sono detti pronti a discuterne, ma ormai è tardi. Io questo lavoro lo faccio per vivere, non a titolo volontario. E penso, insieme al mio team, di averlo fatto bene». Essere rimasto l’unico responsabile dopo la partenza di Jvan Cattaneo, con cui aveva iniziato questa avventura, non ha aiutato. «In due era un’altra cosa – ammette Müller – Si può staccare un attimo per riposare o fare la spesa con calma. Comunque io e i miei colleghi abbiamo cercato di fare del nostro meglio e la scelta di andare via è dolorosa, ma la vita è bella anche perché cambia». Un consiglio ai futuri gestori? «Ricordarsi di dove si è: in una capanna di montagna, dove d’inverno la situazione si fa complicata e la merce va portata in spalla».