C’è chi taglia i capelli e chi torna a casa

Per chi non è cresciuto a due passi da una frontiera, riesce forse difficile comprendere il senso della ramina, ancor più la poetica a essa legata. Guardare Ponte Chiasso, da Chiasso, e trovare, in quella strada che sembra uscita da una scenografia di un film western - tra saloon e barbieri, empori e tabaccai -, un perché. Oggi l’Italia ha riaperto i portoni, è tornata a unire ciò che il coronavirus aveva diviso. Lo ha fatto in barba a ogni qualsivoglia trattativa, alle regole insomma del buon vicinato. Ma tant’è: la frontiera è aperta. Oddio, non del tutto. La spesa al di là del confine non possiamo ancora farla. Possiamo però ristabilire alcune vecchie abitudini, che si erano cristallizzate o che in qualche caso si erano sviluppate in alternative autarchiche. Come andare dal proprio barbiere di fiducia.

Il racconto di Giuseppe e Vito: «Era il deserto»
Giuseppe e Vito sono fratelli, origini siciliane, e lavorano a Ponte Chiasso da una vita. Il loro salone si è spostato in via Bellinzona ormai dal 1994. Da allora è un continuo via vai di persone e personaggi. Oltre ai clienti, gli amici di sempre, gran parte dei quali ticinesi. Ci si incontra lì anche solo per un saluto. Così era. Poi è arrivato il lockdown: da una parte o dall’altra, c’era da scegliere, poche deroghe. Il lockdown ha paralizzato Ponte Chiasso, tenendo chiusi gli esercizi e, comunque, fuori gli svizzeri (tra l’80 e il 90% della clientela). «Ce ne stavamo qua fuori dal negozio, seduti a chiacchierare tra noi. Era il deserto». I ticinesi chiamavano, tanto per sapere come andasse la vita, per mantenere vivo un patto, che in questi casi oltre che di clientela è d’amicizia. Mauro ha potuto tornare oggi a tagliare i capelli a Ponte Chiasso. Vive a Vacallo. «Sono loro cliente da quando ero bambino. Ho aspettato che riaprissero la dogana, pur di non andare da altri, anche se ormai sembravo Davy Crockett». Tanti altri sono passati anche solo per prendere appuntamento o per confermarlo, volevano vedere con i loro stessi occhi che tutto in fondo era come prima. Perché per chi cresce con la frontiera accanto non tutto si riduce al «quanto si paga».

Tra voci e leggende
Molti sono usciti semplicemente a salutare, insomma, anche se ora, date le misure restrittive in vigore, non si può più entrare in un salone e fare «mucchio». Si entra quando la sedia del barbiere è vuota, non prima. Qualcuno non sa che fare, se entrare o meno, se tenere o togliere la maschera. In Lombardia è obbligatoria anche nei luoghi aperti. «Ma da domani non più», dice qualcuno. «Girava voce». Ma non è confermata. La confusione in effetti è tanta, a ridosso della frontiera. C’è chi chiede ai doganieri il da farsi, chi ai commercianti o ai primi che incontra lungo la strada. Non è la strada di prima, di prima del lockdown, ma le targhe ticinesi non mancano. La gente si aggira con la testa tra le nuvole, con quei dubbi che sembrano punti di domanda in un fumetto. «E adesso che faccio?». Le voci diventano leggende. Pare che in giornata un ticinese si sia visto rifilare una multa da cento franchi per aver comprato una copia del Corriere della Sera. Che sia leggenda o che sia realtà, un sorriso lo strappa. «La colpa è di Bellinzona», dice un altro cliente ticinese mentre Vito, il fratello maggiore, gli lava i capelli. E giù epiteti. Bisogna sempre dare la colpa a qualcuno, d’altronde, che stia da questa o quell’altra parte, poco importa.

«Guardi, è complicata»
E mentre c’è chi dà un taglio ai capelli, c’è chi lo fa con il proprio recente passato. Oltre la vetrina, il via vai ora è di gente con la valigia. Passano giovani e meno giovani, singoli, famiglie, coppiette. Anche loro appaiono disorientati. Arrivano a folate. «Sono appena scesa dal treno, ho fatto la dogana e ora attendo che mi vengano a prendere. Torno dalla mia famiglia a Verona», ci dice una ragazza - ora non c’è più l’obbligo di quarantena - Un’altra, con accento abruzzese, salirà sulla corriera per Como, da dove partirà per Teramo. Una coppia piuttosto anziana va a Milano. Un altro ragazzo a Pesaro. Una famiglia intanto sembra ritrovarsi attorno a una macchina parcheggiata nella vicina piazzetta. «Quale storia raccontate tra questi abbracci?», chiediamo. «Guardi, è complicata - ci risponde un uomo - In sostanza, per farla corta, pur avendo una vita tra Stati Uniti e Russia, oggi sono venuto a riprendere mia figlia. Era andata a Basilea dalla madre, dove avrebbe dovuto rimanere cinque giorni soltanto. Ma quei cinque giorni sono diventati mesi. Oggi l’ho ritrovata». Una bella storia, da raccontare, anche se fatta semplice per l’occasione. D’altronde in mezzo a quella via, via Bellinzona, le cose sono state persino troppo complicate, queste ultime settimane. C’è voglia di semplicità.