"Ce ne andremo tutti e resterà l’ecomostro"

Che ne sarà dell’enclave se il casinò non dovesse riaprire? E che ne sarebbe del gigantesco edificio? Per molti rinconvertirlo sembra impossibile
John Robbiani
06.10.2018 06:00

Il casinò è chiuso da 70 giorni e i dipendenti continuano a occupare il piazzale antistante la casa da gioco con un presidio permanente. «Andremo avanti ad oltranza». Ci eravamo già stati 10 giorni fa e si respirava rabbia e tanta delusione. Ora sembra esserci anche anche un po' di rassegnazione. E c'è chi inizia a pianificare un futuro lontano dall'enclave. Non solo tra i commercianti, visto che molti di loro già se ne sono andati.

Dopo il nostro servizio intitolato «Campione è in ginocchio» (vedasi suggeriti), siamo tornati nell'enclave per parlare di nuovo con i suoi abitanti. E se dieci giorni fa avevamo discusso soprattutto del presente – delle famiglie rimaste senza corrente elettrica perché non in più in grado di pagare le bollette o degli anziani costretti a vivere con 400 euro al mese visto che il Comune non versa più «l'integrazione» - stavolta abbiamo voluto parlare un po' del futuro. Che ne sarà di Campione? Il Casinò verrà mai riaperto? E che ne sarà di quella gigantesca costruzione (9 piani, 55.000 metri quadrati: il più grande casinò d'Europa e che ormai in molti chiamano "ecomostro") che ospitava i tavoli verdi? Resterà vuota e a prender polvere e muffa? A deteriorarsi piano piano? O potrà essere convertito in qualcosa in grado di produrre ricchezza?

"Non se ne parla neanche", ci interrompe un sindacalista che incontriamo all'ormai celebre presidio permanente. "Non verrà convertito in nulla. Il casinò deve riaprire. E piuttosto di cederlo a chi ci vuole fare speculazione lo abbatteremo". Da quando il casinò ha chiuso – 70 giorni fa – c'è chi si è fatto avanti con delle proposte. Il gruppo Artisa per esempio, che ha ventilato la realizzazione di una clinica di alta specializzazione, appartamenti medicalizzati per la terza e quarta età, appartamenti residenziali e un museo d'arte internazionale (oltre che un casinò, ma di dimensioni più modeste). Proposta che Botta ha però più o meno indirettamente etichettato come «chiacchiere da bar». "In realtà – ci spiega un ex dipendente del casinò che in quei locali ha passato diversi anni della sua vita – è difficile immaginare di trasformare questa struttura in qualcosa di diverso. Per farci una clinica o degli appartamenti, o anche un albergo, ci vogliono delle finestre e quelle del casinò sono piccolissime. E pensare di aprire solo una parte del casinò, destinando ad altro uno, due o tre piani, è impensabile. Andrebbe sventrato"». Dall'esterno – ci ha fatto notare un'altra ex impiegata – sembra gigantesco, ma dentro in realtà non è così maestoso. Ci sono corridoi larghissimi, sì, ma gli uffici sono piccoli". "Botta - sottolinea un altro ex dipendente - ha firmato edifici stupendi in giro per il mondo. Ma questo è un po' un bunker". 

"Ma senza casinò – sottolinea una ex dipendente – è chiaro che dovrò andarmene da Campione. E dei 1.900 abitanti se ne dovranno andare in tanti. Quasi tutti. E allora resterà un paese deserto, con in mezzo il casinò vuoto. E lo Stato italiano, che per noi non ha fatto assolutamente nulla e che si arrabbia con la Svizzera quando si parla di annessione, potrà tenerselo".