Consonni contract

«C’è un buco legislativo, il titolare va assolto»

Per la difesa non si possono applicare i reati di usura e di falsità in documenti al caso specifico: «È forse la prima volta in Svizzera che un imputato contesta le ragioni oggettive del reato ma riconosce una lesione»
©CDT/CHIARA ZOCCHETTI
Federico Storni
01.10.2019 19:11

I reati di usura e di falsità in documenti non si possono applicare al caso specifico della Consonni Contract SA e il titolare va dunque prosciolto da tutte le accuse: «È forse la prima volta in Svizzera che un imputato contesta le ragioni oggettive dei reati, benché accolga il fatto che il suo agire abbia causato delle lesioni», ha spiegato l’avvocato Flavio Amadò, che con la legale Sabrina Aldi rappresenta il titolare. Ci sarebbe, insomma, un buco legislativo che però, ha sottolineato Aldi, «va risolto in Parlamento, non in Tribunale». Il buco sarebbe il seguente: non vi sono norme penali che puniscono specificatamente il mancato rispetto dei contratti collettivi di lavoro in Svizzera.

L’usura potrebbe entrare in conto, in teoria. Ma non in questo caso, secondo la difesa: «Lo stato di bisogno, inesperienza e dipendenza degli operai non è stato sfruttato dal titolare. Prendevano stipendi che erano nel top 25% della scala salariale del Gruppo Consonni, più ad esempio di alcuni architetti», ha detto Amadò.

Il titolare, un 57.enne imprenditore italiano, è a processo alle Assise criminali per rispondere dei reati di usura aggravata e falsità in documenti in quello che il sindacato OCST – che per primo l’ha denunciato – ha definito «il peggior caso di malaedilizia mai visto in Ticino». All’uomo, con l’aiuto di altre sette persone (quattro presenti in aula), la procuratrice pubblica Chiara Borelli imputa di aver taglieggiato fra il 2008 e il 2016 le buste paga di undici operai ricorrendo a diversi sistemi, causando loro un ammanco di oltre mezzo milione di franchi.

Borelli nel primo giorno di processo, lunedì, aveva spiegato i motivi per cui riteneva dato lo stato di bisogno degli operai richiesto affinché sia dato il reato di usura (per le richieste di pena si veda l’articolo suggerito), arrivando a paragonare il titolare all’avaro Ezebener Scrooge protagonista del Canto di Natale di Charles Dickens. Ma per Amadò la verità è un’altra, «una storia meno facile da raccontare, ma non meno vera del melodramma ottocentesco» evocato dalla pubblica accusa. Verità che si può riassumere così: gli undici operai non sarebbero stati in realtà sfruttati (e quindi il reato d’usura non è dato) e il meccanismo creato per far sembrare che fossero rispettati i contratti collettivi di lavoro svizzeri (CCL) sarebbe stata un’idea del capocantiere (lo stesso che poi ha consegnato copiosa documentazione all’OCST per far partire l’inchiesta): «Il titolare ha solo fatto l’errore di accettarlo, e per questo è pronto ad assumersi le conseguenze» Ma non in sede penale.

Per i legali del titolare sono diversi gli indizi secondo cui gli operai non versavano in uno stato di bisogno. Innanzitutto il fatto che non abbiano mai cercato attivamente un altro lavoro mentre erano impiegati per la Consonni: «La verità – ha affermato Amadò – è che l’idea del capocantiere era "win-win". La Consonni non doveva appaltare quei lavori ad altre ditte perché poteva fare capo a una squadra che da un lato non chiedeva quanto previsto dai CCL, ma dall’altro guadagnava di più di quanto avrebbe guadagnato in Italia. Alla fine erano tutti contenti. Gli operai hanno quindi accettato la situazione perché andava loro bene. E se avevano davvero paura di perdere il posto di lavoro avrebbero dovuto cominciare a cercarsene un altro, cosa che non hanno fatto».

L’accusa lunedì aveva invece affermato che il «domus» dell’operazione era il titolare, e il capocantiere un correo poi pentito: «Cosa tornava in tasca a quest’ultimo nel mettere su questo sistema»? Per Amadò, però, un movente ci sarebbe: «Il capocantiere sapeva che chi avrebbe lavorato in Svizzera avrebbe guadagnato di più in Italia e quindi ha scelto se stesso e persone a lui vicine – che non erano persone deboli che potevano essere ricattate, come sostenuto dall’accusa. Tutti loro in effetti hanno poi guadagnato tanto di più di quanto non avrebbero fatto in Italia».

L’avvocato Aldi, in seguito, ha spiegato (operaio per operaio) perché a mente della difesa nessuno in realtà si trovasse in stato di bisogno. La legale, inoltre, ha contestato la perizia dell’équipe finanziaria che ha ricostruito ore di lavoro e straordinari, alla base dei calcoli per determinare il taglieggiamento. Per esempio non sarebbero stati considerati numerosi scontrini che mostrerebbero come gli orari dichiarati dagli operai non corrispondano a realtà. I calcoli sarebbero quindi sbagliati.