Intelligenza artificiale

«C’è un vuoto legislativo da colmare»

L'intervista a Roberto Porta, giornalista della RSI e presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti (ATG)
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Dario Campione
08.05.2023 06:00

L’intelligenza artificiale (IA) interroga le organizzazioni professionali su più livelli, a partire - ovviamente - dal timore che in futuro le macchine possano sostituire gli esseri umani in redazione. Roberto Porta è responsabile della trasmissione della RSI Modem e presidente, dal 2018, dell’Associazione ticinese dei giornalisti (ATG), sezione cantonale di Impressum. «La prima riflessione che faccio è questa - dice Porta al CdT - dobbiamo conoscere bene ciò di cui si parla. Più ne sappiamo, più saremo in grado di gestirlo a nostro favore e a favore dei cittadini. Se invece dovessimo sottovalutarlo, o lo considerassimo una moda passeggera, sbaglieremmo. L’IA è qui per rimanere».

Che cosa crede sia necessario fare?

«Penso che sia fondamentale innanzitutto una formazione adeguata. Gli editori dovrebbero costruire percorsi di formazione continua per i giornalisti su una tecnologia che ha ampie ripercussioni e andrebbe forse definita al plurale, dato che ci sono più forme di intelligenza artificiale».

Quale pensa sia la questione da cui partire?

«La trasparenza. Siamo dentro una rivoluzione che divide la società in due categorie: un piccolo settore di “calcolanti”, coloro cioè che creano e sviluppano gli algoritmi, i motori dell’IA; e poi tutti gli altri, i “calcolati”. Noi non sappiamo chi siano questi calcolanti: si tratta di persone senza volto e senza nome, non controllabili. Ma il prodotto informazione dev’essere sempre tracciabile, trasparente appunto. Gli algoritmi non sono neutri, potrebbero essere creati per manipolare le notizie e manipolare il pubblico, e forse già lo fanno. Ecco perché è essenziale svelare le eventuali trappole».

Non è facile immaginare che i grandi attori del Web svelino i nomi dei programmatori o i meccanismi che stanno alla base degli algoritmi.

«Può darsi, ma la questione è molto seria, la professione di giornalista corre un rischio in più: essere sostituiti da un computer. E poi c’è di mezzo la democrazia. Il rischio grosso è alterare il processo di funzionamento democratico, che non si può reggere su informazioni fuorvianti o errate. L’IA nel giornalismo c’è da tempo, ma sin qui è stata utilizzata per scrivere rapidamente le previsioni del tempo o i risultati delle partite. Ora le cose stanno cambiando, e mi chiedo se i cittadini sarebbero disposti ad accettare articoli scritti da una macchina invece che da un essere umano chiamato a seguire precise regole deontologiche. Lascio la risposta a chi legge, ma osservo che anche la gestione di semplici dati o statistiche non è mai neutra».

Per non parlare della questione della responsabilità. Se la macchina commette un errore, dà un’informazione falsa, che succede?

«Siamo nel vago più assoluto. Chiaramente, c’è un vuoto legislativo. La politica dovrebbe riflettere su questo e agire molto rapidamente. Tutti gli Stati sembrano essere in ritardo, mentre la tecnologia corre».

È giusto dire che il giornalismo territoriale, ad esempio quello ticinese, sia meno a rischio rispetto all’avanzata dell’IA? Che, insomma, gli algoritmi non bastino a raccontare la realtà più prossima?

«Può darsi, ma la riflessione che faccio è un’altra: tutto l’insieme delle informazioni dovrebbe provenire da giornalisti che stanno sul territorio. In Ticino così come in Ucraina o altrove. All’origine delle notizie dovrebbe esserci sempre la fonte diretta, qualcuno che vede ciò che accade. Purtroppo, questo sistema non sembra reggere per via dei costi. Anche in questo senso, sarebbe auspicabile un intervento della politica, che dovrebbe chiamare le grandi piattaforme alla cassa per fare pagare loro lo sfruttamento del lavoro degli altri, visto che i giganti della Rete pubblicano contenuti giornalistici senza pagare alcunché».