L'evento

Celebrata la centenaria Fontana Pedrazzini di Locarno

Giornata di festeggiamenti per il secolo compiuto dal monumento eretto in centro Città e dedicato a una personalità «riscoperta» grazie a interventi e conferenze - Fra le iniziative, per la prima volta è stato organizzato un «dettato civico» inclusivo
Un momento della giornata © Agnieszka Di Girolamo/MAD
Jona Mantovan
24.08.2025 23:07

L'Associazione Quartiere Rusca e Saleggi ha organizzato, sabato scorso, una giornata di celebrazioni per festeggiare il centenario compiuto dalla fontana in Piazza Pedrazzini. Il monumento eretto in centro Città a Locarno è dedicato a una personalità «riscoperta» grazie a interventi e conferenze proposte direttamente sul posto. Fra le iniziative, per la prima volta è stato organizzato un «dettato civico» inclusivo.

Il testo integrale scritto per l'occasione da Daniel Ganahl. L'inizio del terzo atto è stato scelto per il dettato civico. Pubblicato per gentile concessione dell'autore e dell'associazione che l'ha commissionato:

«L'ombelico del Delta»

Atto primo: dalla stampa regionale

«Ieri mattina, 27 aprile 1925, con una cerimonia semplice e austera, ha avuto luogo la consegna alla città di Locarno della fontana monumentale eretta alla memoria del compianto signor Giovanni Pedrazzini.» Come precisano i cronisti, da Palazzo Marcacci, dove alle 11:00 s’era dato il via all’evento, presenti, tra gli altri, il Municipio al completo, la presidenza del Legislativo, il viceconsole italiano, nonché «Donna Dolores», vedova dell’illustre concittadino, e la di loro prole, il folto gruppo d’invitati s’è trasferito in «Piazza Nuova» per ammirare il «magnifico» manufatto.

Ricevendolo in custodia da Achille Gianella, a capo del comitato promotore oltre che direttore della succursale locale dell’Unione di Banche Svizzere (la prima in Ticino), il sindaco Giovan Battista Rusca ha voluto ricordare «con frasi scultoree» i meriti dell’«uomo che tanto onorò sé e la città natale». Paolo, secondogenito del celebrato, «con voce leggermente velata dall’emozione», ha ringraziato gli astanti per l’onore fatto al suo «indimenticabile padre», assicurando che il di lui «amore per lo sviluppo e il progresso di Locarno verrà perpetuato dai suoi discendenti».

Dal verbale, letto per l’occasione dal segretario comunale (Umberto?) Perucchini, si apprende che l’opera è stata eseguita a spese della società Minas Pedrazzini, in Parigi, dell’Unione di Banche Svizzere, in Locarno, della Ferrovia Locarno-Bignasco, della Società Elettrica Locarnese, delle Cartiere di Locarno/Tenero e della Funicolare Locarno-Madonna del Sasso «a titolo di riconoscenza per le benemerenze acquistate dal signor Giovanni Pedrazzini presso gli enti sunnominati».

Per bocca del suo più autorevole rappresentante, il Comune accetta con gratitudine il dono, ne assume la decorosa manutenzione «in perpetuo» e si obbliga a lasciar sussistere, «del pari in perpetuo», la relativa targa commemorativa.

A inizio dicembre, poco dopo la ratifica, a Londra, degli accordi di pace raggiunti in riva al Lago Maggiore un paio di mesi prima, le testate nostrane tornano a occuparsi con zelo di quello che è già motivo di gran vanto per un quartiere in fase di piuttosto lento (allora!) sviluppo e dai confini ancora incerti. Tutti i corrispondenti accorsi in occasione della recente conferenza internazionale – si legge in trafiletti pubblicati contemporaneamente il 10 del mese – hanno fatto allusione, descrivendo la regina del Verbano, al monumento «che fa capo alla via delle Palme ove, nel Palazzo di Giustizia, i plenipotenziari delle varie nazioni tennero le loro storiche sedute».

E ancora: in tal modo, con le notizie sul vertice «diramate per ogni dove, è corso sui giornali dei due mondi anche il cenno all’artistica fontana cui faceva meta la passeggiata calma e riflessiva di (Austen) Chamberlain, di (Gustav) Stresemann, di (Benito) Mussolini, di (Aristide) Briand, di (Eduard) Benes, di (Hans) Luther, di (Emil) Vandervelde (…), in preparazione di colloqui gravidi di compiti e responsabilità». Di seguito si osserva che, col riferimento all’opera d’arte, «è passato alla stampa mondiale» pure il nome dei suoi autori.

Atto secondo: il concorso, i vincitori

L’idea di perennizzare con la pietra la memoria dell’intraprendente, quanto generoso, personaggio germoglia e prende corpo nel 1923. Ventinove sono i progetti sottoposti all’esame della giuria formata dall’archeologo, pittore e storico dell’arte Edoardo Berta (ricordato soprattutto per il pregevole restauro del Castello Visconteo tra il 1922 e il 1926), dallo scultore Giuseppe Chiattone, dall’architetto Otto Maraini, dall’architetto Americo Marazzi e dal professore Giacomo Mariotti.

Con riserva vengono segnalate le proposte dello scultore Giuseppe Foglia e del consorzio che fa capo all’architetto Ferdinando Bernasconi junior (1897–1975). La spunta quest’ultimo, neolaureatosi al Politecnico di Milano.

Figlio di Ferdinando senior (1867–1919), al quale si devono, fra le molte marcanti realizzazioni, il palazzo scolastico di Piazza Castello (1893), il teatro (1900) e il pretorio (1908), sta per rilevare col fratello, ingegner Alfredo (1899–1957), lo studio aperto dal genitore nel 1892.

Dino, com’è conosciuto, è appassionato di pittura (disegna e dipinge) ed è amico del noto cartellonista (e ingegnere) Daniele Buzzi, a testimonianza dei fermenti e degli intrecci culturali che già all’epoca, seppur con discrezione tutta locarnese, agitano la plaga, che i maligni e gli ignari vogliono invece perennemente assopita.

Attivo, non meno del padre, sia in politica (sarà municipale dal 1925 al 1928), sia in ambito sociale (figura tra i fondatori del Tennis Club), non è ostile alle nuove tendenze, pur non rinnegando il gusto per l’elemento decorativo, come dimostrano molte delle costruzioni da lui pensate, della maggior parte delle quali (citiamo qui la tribuna dello Stadio Lido e il dirimpettaio stabilimento balneare) non restano che le fotografie.

Lo accompagnano nell’impresa il collega Giacomo Alberti (1896–1973) e Fiorenzo Abbondio. L’asconese, fratello minore del poeta Valerio (1891–1958), è in quegli anni uno degli «artisti statuari» più acclamati del Cantone, tra gli ultimi cultori della classicità.

Lasciato il borgo natio, frequenta l’Accademia di Brera, ottenendo il diploma nel 1918, ventiseienne. Resta a lungo a Milano dove opera prevalentemente. È il matrimonio con Christine Kuenzle (nipote del famoso parroco erborista) a riportarlo definitivamente nella sua terra.

Oltre ai tritoni, alle sirene e ai ranocchi che qui vediamo emettere rinfrescanti zampilli, è testimonianza del suo estro il busto del politico Giuseppe Cattori, immortalato nei panni del trascinante oratore sul lungolago di Muralto. Muore nel 1980, a 88 anni. Parte della sua eredità artistica è raccolta nel padiglione-museo che gli è dedicato a Minusio.

Atto terzo: oro e argento, ovvero il riscatto del migrante «Juan Pedrosenni-Pagnamento»

Giovanni Pedrazzini, i cui meriti sono in questa piazza fastosamente esaltati, nasce nel 1852 in città, figlio di Paolo e Antonietta Pagnamenta, ma le sue radici affondano saldamente e fieramente in quel di Campo Vallemaggia. Di famiglia agiata, frequenta il liceo a Monza e successivamente esercita mestieri diversi, fra essi quello d’impiegato di banca. La sua figura non è quindi quella del classico migrante e quando decide di espatriare lo fa verosimilmente con la volontà di allargare i propri orizzonti.

Del comune migrante, soprattutto dopo aver girovagato per l’Europa, conoscerà però gli stenti una volta messo piede negli Stati Uniti. Corre l’anno 1877 e il nostro è appena venticinquenne. Ai familiari scrive di aver patito la fame, il caldo e il freddo, di aver fatto il carrettiere, il garzone di caffè, il commerciante di frutta e il contabile. Si sposta da New York a Eureka, nel Nevada; finisce a Hermosillo, in Messico, poi rivarca il confine e tocca la californiana Marysville; ritorna a Eureka, passa da San Diego e, di nuovo, lo rintracciamo a Hermosillo e New York.

Nel 1884 lo troviamo a Sinoquipe, daccapo in Messico, quindi. Ed è qui, nello stato di Sonora, zona di Arizpe (dove – detto per inciso – nel 1829 nacque il celeberrimo condottiero Geronimo), a un’ottantina di chilometri dalla frontiera con l’Arizona, che gli viene affidata l’amministrazione di una grande proprietà mineraria. L’estrazione di oro e argento inizia a ben fruttare dopo il 1886, opportunamente rilevata la compagnia (ora: Minas Pedrazzini – Gold and Silver Mining & Co.) e superate diverse traversie, tra le quali i frequenti attacchi e le razzie degli Apache.

Ai suoi parla di attività pienamente decollate e che oramai raggiungono un valore di 800'000 franchi «in oro sonante». Al voltar del secolo, arricchitosi a sufficienza e nel frattempo sposatosi con Dolores Palacio Miranda, che gli ha dato otto figli (due subito deceduti, mentre altri quattro nasceranno a Locarno), torna laddove il fortunato periplo è iniziato.

Non cessano però gli accorti investimenti, specie in ambito immobiliare. Parigi, Monte Carlo e Zurigo sono sede di succosi affari. Del suo fiuto, della sua lungimiranza e della sua munificenza approfitta grandemente, e ovviamente, Locarno, che lo vorrà anche sindaco tra il 1914 e il 1916. Una Locarno che, grazie a lui e al non meno illuminato Francesco Balli, suo predecessore a Palazzo Marcacci, pone le basi per aprirsi senza più remore alla modernità.

Una Locarno che alla morte, avvenuta il 10 marzo 1922 nel Principato di Monaco, gli tributa un omaggio raramente visto prima. Il corteo funebre, partito da Villa Carmen, nel «suo» Quartier Nuovo, dove la salma è stata trasferita il 23 e dove è stata allestita la camera ardente, si snoda da via delle Palme, attraverso Piazza Grande, fino in Sant’Antonio senza soluzione di continuità; la musica cittadina condecora la mesta processione.

Celebrato il rito religioso in Collegiata, alla presenza delle autorità comunali, distrettuali e cantonali, del clero, di esponenti del mondo politico e di quello economico e delle società sportive coi loro vessilli, il feretro prosegue verso il cimitero di Santa Maria in Selva. Il principale discorso di commiato è pronunciato sotto la pioggia, che nel frattempo ha iniziato a cadere copiosa, dal presidente del Consiglio di Stato Giuseppe Cattori, buon oratore, come sappiamo.

Oggi le spoglie di Giovanni Pedrazzini riposano nel mausoleo di famiglia, il più imponente di tutti, fatto edificare nel 1923 e la cui struttura alta e massiccia, ideata dall’architetto Enea Tallone (1876–1937), trae ispirazione, non a caso, dalle costruzioni precolombiane.

Fonti

  • Popolo e Libertà, annate corrispondenti
  • Gazzetta Ticinese, annate corrispondenti
  • Eco di Locarno, annate corrispondenti
  • Locarno e la sua funicolare, C. De Lorenzi e A. Varini, Tipografia Pedrazzini Locarno, 1981
  • Inventario svizzero di architettura 1850–1920 – Locarno, F. Giacomazzi, H. Rebsamen, D. Ganahl, Società di storia dell’arte in Svizzera, 1991
  • Bollettino della Società storica locarnese, numero 15, 2012: “Piazza Fontana Pedrazzini dedicata a Giovanni Pedrazzini”, R. M. Varini
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