Cemento nel Vedeggio: dopo sei anni tutti assolti

Quattro assoluzioni in Appello e verdetto di primo grado interamente ribaltato. Parliamo di un caso giudiziario che tiene banco ormai da sei anni: l’inquinamento del Vedeggio del 19 gennaio 2017. Un inquinamento la cui causa principale non è mai stata chiarita. Ed è proprio questa la motivazione principale con cui la Corte di appello e revisione penale ha prosciolto i quattro imputati – due operai e il capocantiere di una ditta edile e l’ingegnere responsabile della direzione lavori – considerati i principali responsabili dell’incidente.
La condanna di primo grado
Riavvolgiamo per un momento il nastro e torniamo a quel 19 gennaio di sei anni fa. In un cantiere all’altezza di Mezzovico si era verificato uno sversamento di acqua contaminata da cemento da una buca nella quale si stava costruendo un basamento di un pilone dell’alta tensione. Poco meno di due anni dopo, il 1. ottobre 2018, il sostituto procuratore generale Moreno Capella aveva emesso quattro decreti d’accusa per infrazione alla Legge federale sulla protezione delle acque. Nei confronti degli indagati erano state proposte una serie di pene pecuniarie da 10 a 30 aliquote sospese per due anni e multe del valore di oltre mille franchi. Le condanne (e le loro responsabilità) erano state confermate in primo grado in Pretura penale il 26 maggio 2021, ma in Appello il verdetto è stato completamente ribaltato con un’assoluzione per tutti e quattro gli imputati.
In buona sostanza, nella sentenza intimata alle parti il 19 gennaio, la Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will (a latere Rosa Item e Matteo Tavian), ha stabilito che no, non è stato possibile capire in concreto la causa principale dell’inquinamento. Durante il dibattimento di secondo grado, svoltosi lo scorso 8 novembre, nello scavo “incriminato” – che per motivi tecnici non aveva potuto essere delimitato con le apposite palancole (barriere isolanti, ndr) – era stato gettato del cemento nonostante non fosse del tutto privo di acqua e la stessa era in qualche modo finita nel Vedeggio. E nella sentenza, la Corte di Appello ha stabilito che ad oggi, in base agli accertamenti e alla perizia disposti in sede di inchiesta, non è stato possibile stabilire la causa (o le cause) alla base del riversamento di acqua contaminata.
La tesi difensiva
Dal canto loro i legali degli imputati, che si sono sempre battuti per l'assoluzione, avevano contestato l'impianto accusatorio poiché – avevano ribadito – « nostri assistiti non dovrebbero trovarsi in quest’aula». Partiamo proprio dall'imputato principale, l'ingegnere responsabile della direzione lavori. «Quel giorno il mio cliente non si trovava in cantiere e aveva dato istruzioni chiare, ossia di procedere con la gettata solo previo pompaggio», aveva affermato il suo patrocinatore, l’avvocato Giacomo Fazioli. E per quanto riguarda il ruolo di garante dei lavori di quest’ultimo, accertato ne giudizio di primo grado, Fazioli ha argomentato che il suo cliente non può essere ritenuto tale in quanto le altre persone coinvolte non gli erano direttamente subordinate. «Mi disorienta il fatto che qui in aula ci siano determinate persone e non altre», gli aveva fatto eco l’avvocato Paolo Luisoni, difensore del capocantiere. «L’incarto è stato estremamente e inutilmente corposo, ma in primo grado non è stato minimamente analizzato l’organigramma di questo cantiere. Inoltre, molto prima di questo incidente, la ditta aveva segnalato alcune criticità alla progettazione. La risposta è stata “Attenetevi ai piani”, e il mio assistito ha fatto quanto gli è stato ordinato di fare». E i due operai? «I miei assistiti erano in pausa pranzo, a zero gradi, e dopo aver constatato l’anomalia hanno chiamato i colleghi e cercato di fare il possibile. Da parte loro non c’è stata né intenzionalità, né negligenza. Se vi sono state carenze, ha concluso, esse sono da ricercare a monte», aveva argomentato l’avvocatessa Michela Pedroli.
A conti fatti, la tesi difensiva ha fatto breccia. Anche se fosse stato possibile determinare con esattezza le cause dell'incidente, la Corte ha stabilito che sia all’ingegnere responsabile della direzione lavori, sia al capo cantiere non può essere rimproverato di non aver accertato la completa aspirazione dell’acqua dallo scavo. Entrambi non erano infatti sul posto al momento dei fatti e, in generale, hanno ottemperato al loro dovere di controllo. Inoltre, il decreto d’accusa non indicava i motivi per i quali dovessero effettivamente avere un ruolo di garante dei lavori.