ChatGPT in aula docenti

«ChatGPT, puoi aiutarmi a risolvere questa equazione?». «Ehi, ChatGPT, puoi darmi una mano con questa versione di latino?». L’intelligenza artificiale generativa - quel tipo di IA che crea contenuti inediti, siano essi testi, immagini o video - è parte integrante ormai delle nostre vite, e quindi ha un ruolo anche nelle nostre scuole. Gli allievi ci sono arrivati prima dei maestri, probabilmente, ma ora tocca ai maestri gestire questa - potenzialmente ingombrante - presenza. Nell’anno scolastico ticinese che si apre oggi, questo sarà uno dei temi da affrontare. Certo, assieme all’uso dei telefonini, di cui parleremo ancora nei prossimi giorni, quando il Centro presenterà l’iniziativa popolare «Smartphone: a scuola no!». Eric Vanoncini è professore di filosofia a Ginevra e tiene corsi proprio ai docenti - non solo ginevrini, ma anche ticinesi - sull’intelligenza artificiale generativa a scuola. Il CdT lo ha raggiunto, e lui spiega che «attualmente c’è una diffusa presa di coscienza sull’impatto che l’IA ha sull’apprendimento e, di conseguenza, sulla trasformazione di alcuni aspetti dell’insegnamento. È quindi importante riflettere non solo sulle pratiche direttamente influenzate dall’arrrivo dell’IA, ma anche sulla loro rilevanza».
Ripensare l’insegnamento
Vanoncini porta un esempio molto pratico: «Possiamo ancora valutare una presentazione orale in classe, sapendo che il contenuto è stato probabilmente realizzato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale? Dare un voto come veniva fatto cinque anni fa, equivarrebbe in definitiva a valutare (almeno in parte) il lavoro di una macchina piuttosto che quello dello studente». È pertanto necessario un pensiero critico: «Questo non significa che dovremmo abbandonare le presentazioni orali, ma piuttosto ripensarne la struttura e le finalità».
Non è per forza una scorciatoia
Conoscere l’intelligenza artificiale e le sue applicazioni diventa importante per saperne evidenziare le problematiche, ma anche le applicazioni utili. E, soprattutto, il ruolo dei docenti si traduce nell’istruire gli studenti all’utilizzo critico e consapevole dell’IA. «Personalmente, penso che questa sia la sfida più grande che dobbiamo affrontare», ammette l’esperto. «Come possiamo incoraggiare i ragazzi e supportarli affinché vogliano impegnarsi per imparare, quando le macchine offrono loro una risposta pronta all’uso?». Anche in questo caso, è utile un esempio: l’utilizzo del GPS per gli spostamenti annebbia la capacità di orientarsi nello spazio. «Delegando parte dell’apprendimento a terzi, si rischia di trascurare molte competenze essenziali sia per lo sviluppo personale, sia per il benessere della società. Personalmente - aggiunge Vanoncini - penso che i docenti debbano insegnare agli studenti a usare gli strumenti dell’IA non come una scorciatoia che consente di raggiungere un obiettivo in modo più veloce, ma piuttosto come uno strumento che permette di approfondire il pensiero personale». L’intelligenza artificiale come «partner socratico», inteso come stimolatore del pensiero critico. «Invece di fornire risposte preconfezionate, l’intelligenza artificiale dovrebbe invitarci a riflettere ulteriormente, a mettere in discussione la nostra posizione in modo che possiamo interrogarci, con l’obiettivo di migliorare il pensiero personale».
La scuola di domani
Ma quali sono i timori più comuni espressi dagli insegnanti sull’uso di ChatGPT? Primo: è più facile «imbrogliare». Banalmente, far scrivere un compito o addirittura una tesi «alla macchina», ma anche affrontare un esame con l’ausilio di dispositivi (telefonini, occhiali connessi alla rete, smartwatch). «Il secondo timore è più diffuso e forse più significativo: che gli studenti non si allenino più e quindi non sviluppino diverse capacità di ragionamento e di pensiero, lasciando che l’IA faccia il lavoro per loro». Eric Vanoncini ha una visione personale per «la scuola del futuro», capace di inglobare in modo adeguato l’intelligenza artificiale: una scuola a due modalità. «La prima è ‘carta e penna’ (papier-crayon), completamente slegata dagli strumenti digitali, per consentire agli studenti di acquisire competenze di base in modo autonomo. A questa si affiancherebbe la seconda modalità, in cui l’IA diventa un mezzo per orientarsi con questi strumenti, mantenendo una distanza critica». Ma, ammette l’esperto, «è difficile prevedere il futuro, soprattutto in un contesto in cui tutto evolve molto rapidamente».
Il fattore umano
Il pedagogista Philippe Meirieu sostiene che l’intelligenza artificiale non potrà mai sostituire il docente, poiché «l’apprendimento richiede una relazione umana». Un concetto caro a Vanoncini: «Il lockdown, con le lezioni da remoto, ha messo in evidenza i limiti dell’insegnamento a distanza. Imparare con l’IA non è la stessa cosa che ‘imparare con un essere umano’. Detto questo, l’IA può essere un ottimo tutor, offrendo supporto personalizzato e sempre disponibile al di fuori della classe. Forse l’equilibrio sta proprio in questo: il docente supportato dalle opzioni di approfondimento offerte dall’intelligenza artificiale».