Tra nostalgia e differenza

Chiasso in quarantena resta comunque «Santiago de Ciass»

La cittadina, da secoli realtà di confine, è deformata dalle restrizioni e dalle misure per arginare la pandemia - Ma quanto è realmente diversa? - Lo abbiamo chiesto a Cerno, Franco Ghielmetti e Marko Miladinovic
Il valico di Pedrinate sbarrato. © CdT/Gabriele Putzu
Anna Riva
11.05.2020 06:00

Transenne. Solo questo è rimasto: una diga contro il fluire umano. Da casa sua, a due passi dal valico di Pedrinate, Michele Carobbio, noto ai più come Cerno, voce dei The Vad Vuc (nella foto che segue), cattura l’essenza di una Chiasso deformata dal coronavirus. «Vedere la dogana barricata è toccante». La sensazione si ripropone al valico di Seseglio, a cui è toccato una sorte analoga: «Sembra di essere in guerra».

Impressioni, queste, che stridono con la natura della cittadina, da sempre terra di confine e di transito. «Se vai da Chiasso a Ponte Chiasso, nonostante la dogana in mezzo, l’agglomerato urbano è unico. Tagliare in due questo territorio ha in un certo senso smembrato l’identità e quello che è sempre stato un po’ il senso di Chiasso, qui in fondo al Ticino». Un senso noto a Cerno, manifestamente innamorato di una cittadina spesso fraintesa, alterata dai luoghi comuni. Anche se, certo, il nuovo «regime» si è fatto sentire anche a ridosso del confine. «I locali sono chiusi. E in questa situazione il Murrayfield pub fa tristezza». Anche la gente è cambiata: nei gesti e negli sguardi si è instaurato qualcosa di simile alla diffidenza. «Ognuno cerca di tutelare la propria persona. Io in primis cerco di non avvicinarmi troppo agli altri. Ma la vita va avanti: Chiasso vive. Lo fa in modo diverso». Cerno stesso ha dovuto a sua volta fare i conti con il coronavirus. Oggi, fortunatamente, sta di nuovo bene. Tanto che, assieme ai The Vad Vuc, ha lanciato un singolo, «Kursk», nato quasi per gioco e registrato tra le mura domestiche.

Insegne spente e bellezza

«Evacuata». Così descrive la Chiasso di oggi l’artista Franco Ghielmetti (nella foto sotto). «In questi giorni, ma soprattutto all’inizio della chiusura semitotale delle attività, Chiasso appare sospesa, le insegne spente, nel cielo nessuna scia di condensazione lasciata dai velivoli». Qualche furtivo anziano qua e là. Pochissime automobili, bus e treni senza passeggeri. Sono tanti i segnali che indicano che qualcosa è cambiato. «Signore che dal balcone mi sgridano perché mi tocco il naso. Manco da bambino», commenta il nostro interlocutore. Che fa tuttavia una concessione: «In fondo le domeniche a Chiasso sono da tempo svuotate dalla presenza umana. Qualche anno fa, una domenica mattina, Leonardo Padura Fuentes, il noto scrittore cubano, si avviava solitario per Corso San Gottardo e incontrandomi mi disse sorridendo: “Passeggiare per Chiasso è come ritrovarsi in un quadro di De Chirico”».

La differenza con gli anni Sessanta (fino all’inizio dei Settanta) è impietosa: di domenica la gente affollava le strade, il viavai solleticava la piazza e la frontiera. Una qualche avvisaglia d’instabilità sociopsicologica era stata intravista solo dopo, nel 1973, in piena crisi petrolifera. Ghielmetti ricorda luoghi completamente svuotati dai mezzi meccanici. Gli umani però c’erano, ancora frequentavano strade e locali.

«C’è anche della bellezza però in questi giorni», così l’artista. Pensa al suono dell’aspirapolvere che proviene dalle finestre aperte, alle canzoni dei bambini sul balcone. «Questo si sarebbe potuto sentire solo nelle corti chiassesi alla fine degli anni Cinquanta».

Mele e pere da oltreconfine

«Mi mancano la ‘nduja e la scamorza affumicata del negozietto sotto casa, le grida concitate dal campetto vicino, chiacchierare col torinese che vende buoni libri al mercato del venerdì (ultimo: “Vita di Milarepa”) e attraversare il confine per andare dal fruttivendolo». Parole, queste, del poeta e artista Marko Miladinovic, che - al pari di chi l’ha preceduto - deve fare i conti con una Chiasso in quarantena. Il paroliere ricorda con rimpianto i «soci» del bar Svizzero, «sempre fuori in piedi per l’aperitivo»; la partenza per una lettura in Italia, non senza aver prima bevuto un caffè alla stazione e aver salutato la cameriera e l’abbondanza di Italia e Svizzera, rappresentata dalla scultura di Margherita Osswald-Toppi. «Addirittura mi manca il cattivo gusto del colore degli interni della stazione così come la volgarità di certe réclame»; un bicchiere di vino al bar Pace, nuovi aneddoti jazz e qualche suggestione musicale.

Miladinovic (nella foto sopra) desidera tornare a scendere per strada «e sentire da una parte del marciapiede il siciliano e dall’altra il tigrino», dare un’occhiata a Elvezia passeggiando per il Corso San Gottardo e ammirandone le sculture. Oggi Chiasso è avvolta da un silenzio «inedito», interrotto soltanto da qualche pianto di bambino, dall’abbaiare di un cane o dal rombo di una motocicletta; è percepibile una nuova diffidenza nel salutarsi per strada. Ciononostante, per il poeta Chiasso rimane «Santiago de Ciass, luogo d’incantesimo e anonimato, varietà e ricchezza etnica e linguistica, dove molti trovano rifugio anche perché a pochissimi importa da dove qualcuno provenga».

Ma oggi, con l’allentamento del lockdown, potrebbe di nuovo cambiare tutto.

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