La domenica del Corriere

Clima, una legge troppo costosa o un'opportunità?

Quattro consiglieri nazionali a confronto sul testo in votazione federale il prossimo 18 giugno - Gysin: «Si tratta anche di una chance per l’economia» - Marchesi: «A rischio l’approvvigionamento energetico del Paese»
©Chiara Zocchetti
Red. Ticino&Svizzera
07.05.2023 20:00

A due anni dal «no» popolare alla Legge sul CO₂, sancito alle urne il 13 giugno 2021, i cittadini svizzeri torneranno presto ad esprimersi sui temi dell’energia e dell’ambiente. Il prossimo 18 giugno, infatti, saremo chiamati a votare sulla Legge sul clima e l’innovazione, che prevede di ridurre progressivamente il consumo di petrolio e gas naturale in Svizzera, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, in particolare attraverso sussidi e incentivi. Un tema che, come già avvenne nel 2021, anche oggi divide la politica. A darsi battaglia sul tema, ospiti di Gianni Righinetti a La domenica del Corriere, sono intervenuti quattro consiglieri nazionali: Greta Gysin (Verdi) e Alex Farinelli (PLR), favorevoli al progetto, Piero Marchesi (UDC) e Fabio Regazzi (Centro), contrari al testo.

Il dibattito

«Il voto del 2021 non fu un errore, ma il tentativo di trovare una soluzione a un problema reale», ha esordito Gysin, tornando sulla precedente votazione. Ad ogni modo, ha aggiunto, «la soluzione della Legge sul CO₂ non è piaciuta. E ora c’è una nuova proposta che tiene conto di tutte le criticità emerse nel 2021: non ci sono più tasse e divieti, ma incentivi. Spero che questa volta la soluzione piacerà alla maggioranza della popolazione, perché il clima è una della maggiori preoccupazioni per la cittadinanza».

Una soluzione che però, anche a questo giro, non piace all’UDC. «Ci sono diverse ragioni per dire no», ha rimarcato Marchesi. «Ad esempio, la Svizzera produce lo 0,1% della CO₂ su scala mondiale, mentre la Cina ne produce il 28%». Tutto ciò, «in un contesto già difficile, in cui già oggi manca energia per far funzionare il Paese». Con questa soluzione, secondo il democentrista si sta «mettendo a rischio l’approvvigionamento energetico del Paese».

Pronta la risposta di Farinelli: «È come se domani un Comune ticinese di 300 abitanti decidesse di non pagare le tasse, dicendo che l’impatto sarebbe minimo. Quando c’è una sfida globale e collettiva, tutti devono portare il proprio contributo».

A dar man forte a Marchesi è quindi intervenuto Regazzi. «È un dato di fatto che, anche se domani per magia la Svizzera riuscisse ad azzerare le proprie emissioni di CO₂, l’impatto sull’ambiente a livello globale sarebbe pressoché impercettibile». Certo, ha precisato, Regazzi, questo non è un buon motivo per non fare nulla. Tuttavia, «bisogna essere realisti: è giusto mettere sul piatto tutti questi soldi (3,2 miliardi) per un risultato impercettibile?».

«Non è che questi soldi li spendiamo dall’oggi al domani, ma in 10 anni. Si tratta dunque di 350 milioni all’anno», ha risposto Gysin, lanciando poi una frecciatina agli avversari: «Questa critica arriva da chi pochi giorni fa ha votato un credito da 110 miliardi per salvare il Credit Suisse». In ogni caso, ha aggiunto la consigliera nazionale dei Verdi, «si stanno dimenticando le opportunità offerte da questo progetto»: «Questi 3,2 miliardi rappresentano un investimento che resta qui da noi, a favore dell’artigianato locale, con contributi anche per la scienza e l’innovazione, mentre già oggi in media spendiamo 8 miliardi all’anno in energia acquistata all’estero, di cui rimane solo l’inquinamento».

«Si sta raccontando la storia a metà», ha risposto Marchesi: «Ricordo che il mercato delle rinnovabili è per il 95% in mano alla Cina. E il rinnovabile prodotto in Cina si alimenta con il carbone. Non so quanto tutto ciò sia effettivamente virtuoso». Ma non solo. Secondo Marchesi, oltre al problema dell’approvvigionamento energetico messo a rischio, c’è pure quello dei costi: «Uno studio del politecnico stima l’aumento dei costi a carico dei cittadini da 3 mila franchi all’anno a 9.600». Ecco perché, secondo il democentrista, «bisognerebbe invece insistere sul progresso tecnologico e tornare anche a parlare del nucleare». «Ma nel 2022 - ha risposto Farinelli - il prezzo dell’energia è esploso per due motivi: la guerra in Ucraina con l’aumento del prezzo del gas e il nucleare francese che è andato in crisi. E ora i contrari a questo progetto propongono di costruire centrali nucleari e di rimanere sulle energie fossili. Mi sembra che la loro soluzione è proprio quella che ha creato il problema». Dal canto suo Regazzi ha infine ricordato che in questi anni, «senza incentivi, siamo passati dal 2% di rinnovabili al 10%». Detto altrimenti, «non c’è motivo di forzare l’obiettivo con politiche volte al sussidio».