Processo

«Definirlo un agire osceno sarebbe un eufemismo»

Un 36.enne è stato condannato a 3 anni e mezzo per una brutale coazione sessuale nei confronti della compagna - Nel dicembre scorso il giudice aveva ritenuto troppo lieve la proposta di pena della pp Tuoni ordinando un nuovo processo
©Chiara Zocchetti
Davide Rotondo
Davide Rotondo
25.05.2023 16:43

Ha un che di déja vu il processo tenutosi oggi presso la Corte delle Assise criminali. E infatti è stato identico a quello celebrato nel dicembre scorso: imputato, dichiarazioni, accuse, avvocati e soprattutto stessa richiesta di pena. Le uniche due variazioni sono state la composizione della Corte e l’epilogo. Del caso vi informavamo nell’edizione del 23 dicembre scorso: l’imputato 36.enne del Sopraceneri, al ritorno da una festa nel maggio scorso, ha aggredito la sua compagna forzandola ad un rapporto sessuale brutale e degradante, per corpo e mente, indescrivibile. Oltre all’atto fisico infatti l’uomo l’ha sottomessa rivolgendole frasi come «ti faccio quello che voglio», trasformandola da compagna amorevole a oggetto e schiava umiliata. L’uomo però nel primo processo (con rito abbreviato) non era stato condannato, ma non perché innocente. Secondo il giudice di allora, Mauro Ermani, la richiesta di pena formulata dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni concordata con l’avvocato della difesa Marco Masoni non fu ritenuta sufficiente: 36 mesi, di cui 6 da espiare e il resto sospeso per due anni. Praticamente il tempo che l’uomo aveva fino a quel momento trascorso in carcere, dov’è tuttora rinchiuso dal giugno scorso.

«Richiesta inaccettabile»

«Una pena del genere è manifestamente inferiore rispetto a quello che la giurisprudenza ci ha insegnato in questi anni. Non è ammissibile accettarla per un crimine del genere. A maggior ragione se parzialmente sospesa», aveva spiegato il presidente della Corte Ermani rimandando l’incarico al Ministero pubblico. Una richiesta di pena che però oggi, di fronte alla nuova Corte presieduta questa volta dal giudice Amos Pagnamenta (giudici a latere Luca Zorzi e Fabrizio Filippo Monaci), è stata riproposta senza variazione alcuna dalla pp Tuoni (e comunque in linea con le richieste dell’avvocato Masoni), che hanno quindi ritenuto la valutazione fatta mesi fa adeguata alle circostanze, in considerazione anche della sostanziale ammissione da parte dell’imputato e del suo atteggiamento collaborativo.

Una prova schiacciante

Una collaborazione che però, ha ricordato più volte Pagnamenta oggi in aula (come d’altronde fatto anche da Ermani a suo tempo), si è manifestata a fatica e solo dopo aver ascoltato la registrazione di quella dolorosa notte, durante la quale la donna lo supplicava di smettere, lo informava del dolore insopportabile e in risposta si sentiva dire «se ti sposti un’altra volta le prendi». Una prova quindi inconfutabile che oltre a inchiodare l’uomo, ha fatto emergere la sadica drammaticità di quella notte, squallido culmine di un percorso violento avviato da tempo tra le mura domestiche.

Violenza crescente

La donna infatti da mesi era preoccupata per gli atteggiamenti maneschi crescenti del convivente e delle richieste di sesso sempre più spinto. Per cercare aiuto al di fuori della coppia, aveva infatti deciso di registrare il litigio poi sfociato in violenza. Vittima, si ricorda, era stata anche un’altra ex compagna, a cui l’uomo ruppe il setto nasale con una testata nel 2017. Il giudice Pagnamenta ha dunque condannato l’uomo a 3 anni e mezzo di carcere per coazione sessuale detratto il tempo già passato dietro le sbarre, ovvero circa 11 mesi, dove ora sta seguendo un percorso psicologico «per uscirne migliorato e non fare più certi errori». Durante la lettura del dispositivo della sentenza il giudice ha ricordato l’importanza della registrazione: «Se la vittima non avesse avuto il coraggio e il sangue freddo necessari, oggi avremmo assistito alla strenua negazione di ogni responsabilità da parte dell’imputato», non ritenuto credibile nelle sue affermazioni. «Nel primo verbale aveva contestato tutto, accusando addirittura la compagna di mentire, aggiungendo che in un primo momento fosse consenziente». Per la Corte dunque «la sua colpa è estremamente grave, con il suo agire ha leso la libertà sessuale e l’integrità fisica di una persona con un atto doloroso che definire osceno è un eufemismo». È stato però prosciolto dal capo d’accusa di sequestro di persona, che è stato derubricato a coazione. L’uomo infatti aveva chiuso a chiave la donna in alcune occasioni nella camera da letto dove convivevano. A rappresentare l’accusatrice privata, l’ottima avvocata Demetra Giovanettina che ha parlato di «atti di intensità paragonabili alla violenza della peggior specie con elementi sadici».