Vacallo

Coltellate nel «disagio», è tentato omicidio

Cinque anni e 3 mesi alla donna che nell’agosto di un anno fa colpì, con più fendenti, l’uomo con il quale aveva una relazione – Il tutto in un contesto di uso di stupefacenti e criticità pregresse – Pena sospesa a favore di un trattamento
©CdT/Chiara Zocchetti
Stefano Lippmann
29.10.2025 18:00

«È solo grazie al caso se le coltellate non hanno avuto esito letale». Oltretutto, i fendenti sono stati sferrati «per motivi inconsistenti e futili». Quali? Difficili da comprendere, soprattutto quando ci si trova in quel particolare «sottobosco» e si vivono «relazioni che fioriscono in situazioni di disagio». Per la Corte delle assise criminali – presieduta dal giudice Amos Pagnamenta – nell’agosto dell’anno scorso, in un appartamento di Vacallo, si è configurato un tentato omicidio. Per questo motivo la 42.enne, da quest'oggi alla sbarra, è stata condannata a una pena di 5 anni e 3 mesi. Sospesa, va detto, per favorire un trattamento stazionario in una struttura idonea. Nei suoi confronti è stata riconosciuta anche una scemata imputabilità di grado lieve, ravvisata nella perizia psichiatrica.

Alle prime luci dell’alba del 10 agosto 2024, la donna si era recata a casa dell’uomo con il quale aveva una relazione definita «malata», caratterizzata da alti e bassi e inserita in un contesto dove erano presenti sostanze stupefacenti. Dopo una discussione protrattasi per circa un’ora la situazione degenera e la donna – è stato ricostruito nell’inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas – ha sferrato, armata di coltello, diversi fendenti: l’uomo è stato raggiunto al collo, alla nuca e al dorso. Ferite che, fortunatamente, non hanno mai messo in pericolo la vita dell’uomo. Ciò non toglie, ha motivato la Corte, che la 42.enne «ha sferrato diversi colpi, agendo con convinzione». È stato altresì considerato che non ha proseguito oltremodo nel suo intento, circostanze che hanno quindi configurato – secondo i giudici – il reato di tentato omicidio per dolo eventuale (e non diretto). Il presidente della Corte, nel motivare la sentenza, ha evidenziato come «nessuna delle parti abbia fornito dichiarazioni esenti da criticità». Ciò nonostante quanto riportato dalla vittima «è apparso coerente: non ha esitato a descrivere la propria reazione all’aggressione, cosa che avrebbe potuto far aprire un procedimento anche nei suoi confronti». La donna, invece, «ha tentato di adattare le proprie dichiarazioni alle risultanze degli inquirenti» e, ha sottolineato inoltre Pagnamenta, dopo i fatti «ha tentato si saltare dal balcone» per darsi alla fuga. Il comportamento, dunque, «di chi sa di averla fatta grossa».

La tesi difensiva non ha quindi convinto la corte. La legale Fabiola Malnati si era battuta per una sensibile riduzione della pena, anche in considerazione del fatto che l’accusa aveva chiesto sino a 9 anni di carcere. Durante l’arringa aveva infatti ipotizzato una diversa versione dei fatti: «È plausibile che la donna stesse subendo un’aggressione» alla quale, secondo la difesa, avrebbe reagito. Da qui l’idea che per la donna si sia trattato di «una legittima difesa che ha superato i limiti». Tesi, come detto, che la Corte oggi non ha sposato.

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