La storia

Come ti fiuto il coronavirus

L’impiego di animali addestrati a riconoscere il virus porta ottimi risultati, ma in Svizzera i progetti sono per il momento in stand-by - Abbiamo intervistato Paolo Riva, cinofilo dell’Associazione Detection Dogs Ticino, per capire meglio quale sia la situazione
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Irene Solari
15.09.2021 17:00

Il fiuto dei cani, come risaputo, è molto più efficace del nostro: i nostri amici a quattro zampe hanno all’interno del loro naso più di 200 milioni di recettori olfattivi, mentre noi umani ci fermiamo ad «appena» 5 milioni. Per questo, l’intervento dei cani è fondamentale e si applica in moltissimi campi: dalla ricerca di esplosivi, droghe o persone scomparse, all’identificazione di malattie, anche in fasi impercettibili alla sensibilità umana, come tumori o malattie degenerative. E anche nel caso della COVID-19. Da diversi mesi è stato provato che i cani, grazie al loro formidabile olfatto, sono in grado di identificare con un altissimo grado di precisione le persone infettate dal virus SARS-CoV-2. Anche in casi in cui quest’ultimo non ha ancora prodotto sintomi. Questi ottimi risultati hanno portato alcuni gruppi specializzati nell’addestramento cinofilo a credere nelle potenzialità di un impiego degli animali nella lotta contro il coronavirus. Si sono sviluppati così diversi progetti in giro per il mondo, soprattutto all’interno degli aeroporti. L’ultimo caso importante ci arriva dagli Stati Uniti, dal Miami International Airport. Come riporta il Miami Herald, si tratta del primo caso su suolo americano di due esemplari di cane pastore – Belgian Malinois e Dutch Shepard – impiegati come vero e proprio personale di sicurezza aeroportuale per identificare i passeggeri infetti. E questo compito viene eseguito magistralmente dai due animali: la percentuale di precisione rilevata è rispettivamente 99,4% e 98,1%.

Nonostante gli esiti molto positivi, in Svizzera questa opzione non è considerata attuabile. Secondo il Consiglio federale è presto per introdurre una simile misura, non si dispone di abbastanza dati e gli studi che l’università di Ginevra sta conducendo in proposito non sono ancora ultimati. Oltretutto vengono evidenziate le difficoltà relative alla formazione dei cani e al numero necessario di animali da impiegare in occasione di grandi eventi. Quindi la questione rimane ferma, almeno per ora. Ci si basa unicamente sui certificati COVID. Ma la curiosità sull’argomento è viva, dato che il potenziale dei cani è effettivamente enorme. Abbiamo quindi posto qualche domanda a Paolo Riva dell’Associazione Detection Dogs Ticino, istruttore cinofilo specializzato in rilevamento di sostanze.

Risultati positivi

Innanzitutto, spiega Riva, anche in Svizzera le prove fatte presso l’Ospedale universitario di Ginevra hanno dato ottimi esiti. Sono stati impiegati tre cani rilevatori del virus e i risultati hanno prodotto un tasso di precisione del 90%. «Davvero molto buono». Una percentuale di risposta corretta molto simile a quella garantita dai tamponi a cui ci affidiamo quotidianamente, prosegue il nostro interlocutore. Che precisa come la scelta della Confederazione di non affidarsi a unità cinofile per il rilevamento del virus non vada assolutamente a minare la credibilità del loro fiuto. Si è semplicemente preferito restare sul già conosciuto Green Pass invece che iniziare a percorrere nuove strade e, di conseguenza, investire tempo e mezzi per l’addestramento dei cani. E se su eventuali future aperture da parte delle autorità Riva preferisce non azzardare previsioni, afferma invece con sicurezza che i privati, dal canto loro, sono già pronti ad addestrare cani per il tracciamento del virus. «Il problema è che serve una certificazione dell’Ente pubblico. Noi abbiamo proposto al Comitato etico cantonale lo stesso protocollo usato a Ginevra, speriamo di ricevere una risposta e di poter cominciare presto ad addestrare i cani».

Metodo e vantaggi

Quanto all’addestramento, come si procede? Il metodo, ci spiega Riva, è lo stesso che si usa per insegnare a identificare le altre sostanze: i cani imparano a riconoscere un determinato odore. In questo caso vengono sottoposti loro dei campioni di sudore raccolto con una semplice garza. Il sudore viene scelto appositamente perché perde rapidamente la carica virale: è scientificamente approvato, sicuro da maneggiare e non presenta nessun rischio per i cani o per gli addestratori. Anche se, ricorda Riva, il depistaggio delle malattie è leggermente più complicato di quello delle sostanze chimiche: «Se devo insegnare al cane a riconoscere la cocaina, l’odore è quello. Mentre i campioni prelevati dalle persone sono naturalmente tutti differenti. C’è un unico denominatore comune: l’odore del virus. Una volta che il cane l’ha identificato, è fatta». Basta dargli un premio, un rinforzo positivo, ogni volta che lo riconosce. L’olfatto canino è prodigioso: «Il cane è in grado di rilevare tutti i singoli ingredienti all’interno di qualsiasi composto». Oltre alla precisione, l’impiego dei cani presenta anche molti altri vantaggi. Innanzitutto i costi, nettamente ridotti rispetto ai tamponi: «Fare un singolo tampone oggi costa fino a 70 franchi. Con la stessa cifra si finanzia una giornata di lavoro di un cane, nella quale l’animale può eseguire fino a 2000 controlli. Fate voi le proporzioni». Inoltre è un metodo molto meno invasivo e davvero rapidissimo: il cane capisce immediatamente se il campione fiutato è positivo o meno.

Pronti a partire

Paolo Riva ci conferma anche che non ci sono stati problemi relativi alla sicurezza: «Parecchi team stanno lavorando su questo progetto, ci arrivano riscontri e risultati molto buoni. Soprattutto non sono mai state sollevate questioni relative alla sicurezza». C’è anche già la disponibilità di cani pronti ad essere formati: «Al momento abbiamo una decina di esemplari pronti all’addestramento. E sono certo che, se si iniziasse, ci sarebbero molti volontari pronti ad aderire, una volta capito che si lavora in piena sicurezza. È un’attività che sviluppa l’altruismo delle persone». L’unica cosa che occorre quindi per partire con il progetto, specifica Riva, è la certificazione della validità dei risultati. Questa non può venire dagli addestratori, ma deve essere emessa dall’autorità dato che si tratta di una questione di salute pubblica. Ma, una volta rilasciata questa certificazione, la strada è tutta in discesa: «Noi possiamo cominciare subito con la formazione dei cani. Appena ci danno il via libera, siamo pronti a partire».

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