Con l’auto contro la polizia: «È stata una richiesta d’aiuto»

«Ero terrorizzato, ero fuori di me». Quanto commesso «era un urlo d’aiuto, volevo fare rumore e attirare l’attenzione per farmi aiutare. Ma non volevo fare male a nessuno». Così si è giustificato, questa mattina davanti al presidente della Corte delle assise correzionali Amos Pagnamenta, il 34.enne del Mendrisiotto che nel gennaio dello scorso anno ha avuto un fortissimo scompenso psichico. Uno stato mentale che l’ha portato, infine, a dirigere la propria auto e a cercare l’impatto – con la moglie seduta sul sedile del passeggero – contro un’altra auto parcheggiata negli stalli del Centro di pronto intervento di Mendrisio. Un gesto, il suo, che ha oltretutto rischiato di coinvolgere due ignari agenti di polizia, che si trovavano a pochissimi passi dal luogo dell’incidente. Quanto avvenuto la sera del 23 gennaio 2024 è però solo il culmine di quei concitati giorni dove lo scompenso psichico ha preso il sopravvento. Ed è anche per questo motivo che la Corte ha aderito all’istanza per l’ottenimento di una misura terapeutica formulata dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis. In concreto, al momento dei fatti l’uomo – difeso dall’avvocato Samuele Scarpelli – era totalmente incapace di intendere e di volere. La perizia psichiatrica, a tal proposito, ha confermato la presenza di una turba psichica: disturbo schizoaffettivo di tipo misto e sindrome di dipendenza da cannabis.
La moglie sequestrata
L’impatto contro l’auto nei pressi della polizia, come detto, è stato l’ultimo episodio prima dell’arresto. Il 34.enne – che seguiva una cura ed era già stato ricoverato in una clinica – da qualche mese aveva smesso di assumere i medicinali prescritti per la sua patologia. Ed è proprio a seguito dell’incidente, provocato intenzionalmente con la moglie seduta a fianco, che quest’ultima ha raccontato anche cosa fosse successo qualche giorno prima. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio l’uomo l’aveva sostanzialmente tenuta segregata in casa nonché – si legge nell’istanza – ripetutamente minacciata di morte brandendo un coltello. C’è di più: quella notte effettivamente il marito ha colpito la moglie (e madre del figlio di pochi anni) con una lieve coltellata alla coscia. Fatti che hanno portato la procuratrice pubblica a ritenere configurati gli estremi dei reati di sequestro di persone e rapimento, nonché esposizione a pericolo della vita altrui, tentate lesioni gravi, grave infrazione alle norme della circolazione, guida in stato d’inattitudine (l’uomo aveva fatto uso di cannabis) e danneggiamento aggravato. Nei confronti dell’uomo, come anticipato, è stato ordinato un trattamento ambulatoriale. Una presa a carico psichiatrica (nonché controlli ad Ingrado) già iniziata la quale, è stato confermato in aula, sta avendo effetti positivi. A tal proposito è già stato ravvisato «un miglioramento generale del suo stato di salute psicofisico».
Venti ore di follia
Restano, ad ogni modo, i fatti accaduti in quei giorni. «Una decisione volontaria ha portato alla distruzione di tutto – ha spiegato in aula la legale della moglie Sofia Padlina riferendosi in particolar modo alla decisione del 34.enne di smettere di assumere i farmaci –. Per 20 ore la moglie ha subito la follia del marito, la paura di morire. E quella notte c’era anche il figlio, di poco più di due anni. Il trauma emotivo non è quantificabile».
L’avvocato dell’uomo, ripercorrendo i fatti durante l’arringa, ha spiegato che il suo assistito «non stava bene. Sentiva delle voci che molto probabilmente erano solamente nella sua testa. Oggi – ha continuato – sta seguendo un percorso; la presa a carico è costante e il paziente è collaborante». Per quel che concerne l’incidente a Mendrisio «ha sempre detto di non voler far male a nessuno, non ha mai puntato in direzione degli agenti di polizia (è stato un pilota professionista, ndr.). Aveva l’intenzione di fare rumore, voleva farsi aiutare e l’unica soluzione che ha trovato, sbagliata, è stata quella».
