Processo

Crippa e Nag non ridati: truffatori o pasticcioni?

Alla sbarra alle Assise criminali due cittadini italiani che avrebbero tentato di impossessarsi di una collezione privata – L’accusa chiede pene superiori ai tre anni, la difesa condanne sospese: «Non avevano un piano, il loro agire è stato confuso» – Domani la sentenza
© CdT/Chiara Zocchetti
Nico Nonella
20.12.2023 18:18

Ci sono dei De Chirico, dei Léger, dei Marks Nest. Ma anche opere di Sutherland, Crippa e Nag Arnoldi. In totale sono trentatré le opere d’arte finite al centro di un procedimento penale sfociato oggi in un processo alle Assise criminali per appropriazione indebita, truffa e falsità in documenti a carico di due cittadini italiani di 60 e 65 anni.

Caparra che sorpresa

Secondo l’atto d’accusa della procuratrice pubblica Chiara Borelli, i due correi avrebbero costruito un castello di bugie per tenersi le suddette opere, a loro affidate per la vendita. La vicenda risale al 2021. Un noto collezionista privato contatta i due imputati, i quali si erano presentati come esperti del settore, e affida loro la trentina di opere d’arte in conto vendita. Dipinti e sculture vengono inizialmente esposti in una galleria nel Mendrisiotto, nel frattempo fallita, e poi spostati in un deposito nel Luganese. La vicenda si complica e assume risvolti penali dopo la morte dell’anziano collezionista, a inizio 2022. L’erede chiede la restituzione delle opere d’arte e a quel punto ha inizio quello che per la magistrata è stata una vera e propria truffa. I due sedicenti galleristi (il 60.enne è difeso dall’avvocato Felice Dafond e il 65.enne dall’avvocata Francesca Piffaretti-Lanz) dapprima affermano che alcune opere potrebbero essere false, poi chiedono agli eredi i certificati di autenticità – facendo leva sul fatto che l’anziano gallerista annotasse tutto a mano su numerosi bigliettini «con calligrafia sempre più incerta». Gli eredi, rappresentati dall’avvocato Marino Di Pietro, non demordono e il 24 novembre dello scorso anno, nell’ambito di una procedura cautelare, la Pretura ordina la restituzione delle opere d’arte. I due imputati inscenano a quel punto una vendita a un fantomatico cittadino russo, con tanti di caparra di 300 mila franchi (il valore complessivo di sculture e dipinti ammonta a circa mezzo milione di franchi, ndr). In un’altra versione, viene affermato che alcune opere sono state cedute al 60.enne per 255 mila franchi. Denaro che i due rivolevano.

Tre legali

Un altro filone dell’inchiesta vede il 65.enne avviare un’azione di disconoscimento del debito nei confronti di un (ex) amico, al quale ha venduto un’opera d’arte in cambio di 68.400 euro e un dipinto. L’imputato, aiutato dal 60.enne, ha affermato di non essere mai stato pagato e ha avviato una causa civile. Infine, il 65.enne è accusato di aver raggirato tre donne promettendo a una la pulizia di un dipinto per 2 mila franchi e l’acquisto di più opere d’arte per oltre 65 mila franchi al fine di rivenderle, alla seconda un cambio vantaggioso di 10 mila franchi e alla terza un investimento in opere d’arte per 60 mila franchi.

«Gli imputati hanno prodotto falsi scritti e usato le aule di tribunale a loro piacimento. Hanno cambiato tre avvocati, ai quali hanno raccontato fandonie», e questi ultimi le hanno inconsapevolmente alimentate, ha argomentato la procuratrice pubblica nella sua requisitoria. La magistrata ha chiesto 3 anni e 6 mesi di carcere e l’espulsione per 5 anni per il 60.enne e tre anni e 3 mesi per il 65.enne.

Pessime idee

Dal canto loro, entrambi gli imputati, i quali hanno in gran parte ammesso i fatti, si sono difesi affermando di aver agito «pasticciando», vuoi per rimediare a presunti torti subiti, vuoi per «arrabattarsi», come argomentato dai loro legali, e di non aver mai avuto l’intenzione di non restituire le opere d’arte. «L’agire del mio cliente è stato confuso, non è un delinquente», ha chiosato Piffaretti-Lanz nella sua arringa. «Il mio assistito non è che un pasticcione. I due imputati hanno avuto pessime idee tramutatesi in fatti penalmente rilevati», le ha fatto eco Dafond.

Per quanto riguarda la presunta truffa ai danni delle tre donne, il legale ha sostenuto che non ci sono prove sul fatto che il denaro sarebbe stato usato per scopi personali e non per quanto prospettato loro.

La legale del 65.enne ha chiesto una pena non superiore ai due anni e interamente sospesa, mentre Dafond si è battuto per una condanna interamente sospesa. La sentenza della Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta verrà pronunciata domani pomeriggio.