Crollo in galleria, il mistero del calcestruzzo distrutto

LUGANO/MELIDE – Per la procuratrice pubblica Chiara Borelli le responsabilità per il crollo di 7,5 tonnellate di calcestruzzo nella galleria Melide-Grancia l’8 giugno 2016 sono chiare. Il crollo è stato causato dalla pressione idrostatica dell’acqua in un tratto in cui non erano stati eseguiti i fori di drenaggio. L’assistente direttore dei lavori – 35 anni, difeso dall’avvocato Carlo Borradori - avrebbe confuso i fori necessari per l’iniezione di un idrogel per impermeabilizzare i due anelli della volta con quelli per il drenaggio dell’acqua. Il vice responsabile della direzione dei lavori – 67 anni, difeso d’ufficio dall’avvocato Felice Dafond – non avrebbe verificato la comprensione dei lavori da svolgere da parte del suo sottoposto e avrebbe omesso di verificarne la bontà.
Il responsabile della direzione dei lavori – 53 anni, difeso dall’avvocato Luca Marcellini – «il solo a possedere una visione d’insieme», avrebbe omesso di ordinare una verifica statica per determinare la sicurezza dell’anello in relazione agli sforzi generati dalle possibili locali pressioni idrostatiche maggiorate per la presenza di idrogel che sbarrava la strada all’acqua. Inoltre non avrebbe effettuato, contrariamente al contratto, un «controllo continuo dei lavori in esecuzione». Infine, l’ingegnere civile a cui era stata delegata la demolizione della soletta – 67 anni, difeso dall’avvocato Fulvio Pelli – non avrebbe preteso né acquisito maggiori informazioni, in seno al consorzio che si occupava dei lavori nel 2011-2012, su quale fosse l’impatto dell’impermeabilizzazione e su quali lavori fossero previsti per lo sfogo dell’acqua. Avrebbe insomma omesso di effettuare una verifica statica volta a determinare la sicurezza dell’anello in relazione alla pressione esercitata dall’acqua. Le ipotesi di reato a carico dei quattro sono quelle di franamento per negligenza, violazione delle regole dell’arte edilizia per negligenza e perturbamento alla circolazione pubblica per negligenza. Il procedimento si è aperto oggi alla Corte delle Assise correzionali di Lugano presieduta dal giudice Mauro Ermani. Dovrebbe durare tre giorni. L’USTRA, committente dell’opera, si è costituita accusatrice privata (patrocinata dall’avvocato Luigi Mattei). In mattinata Ermani ha interrogato i quattro imputati. Interrogatorio (come tutto il procedimento) che si è focalizzato su aspetti molto tecnici, ma da cui è emerso un generale rimbalzo di responsabilità fra le parti. È anche emerso in controluce che per le difese le certezze dell’accusa sono tutt’altro che tali. Ad esempio il progettista ha sostenuto che non era suo compito occuparsi del drenaggio dell’acqua: «Non sono mai stato interpellato su questioni di iniezioni», ha detto. Il direttore dei lavori, che ha progettato le iniezioni di idrogel e ha proposto di eseguire i fori di drenaggio, ha affermato che questi servivano a far defluire ordinatamente l’acqua che fuoriesce dalla roccia, ma che questa in ogni caso non contribuiva alla pressione idrostatica che potrebbe aver causato il crollo. Le rispettive posizioni saranno sviluppate dalle parti in fasi d’arringa (l’accusa parlerà nel pomeriggio, a seguire le difese). Da segnalare che a complicare le indagini vi è stata la distruzione del calcestruzzo cascato dalla galleria (solo per caso il crollo non aveva causato feriti fra gli automobilisti che transitavano). Il materiale era stato depositato poco dopo il crollo (per la necessità di riaprire la galleria al traffico) nei depositi della ditta che si occupa in quel tratto di questo tipo di lavori su mandato dell’USTRA. La procuratrice Borelli ne aveva poi intimato il sequestro, ma il materiale è in seguito stato distrutto. Non si sa per decisione di chi e perché.