Dalla rapina in via Pelli all'aula penale

Hanno modi gentili, toni pacati, sono attenti alle parole del giudice Monica Sartori-Lombardi ma il loro sguardo è rivolto verso il basso. Talvolta nel vuoto. In aula, quando rispondono alle domande della Corte delle assise criminali, aggiungono educatamente l’appellativo «signor» o «signora» prima del cognome riferendosi ai coimputati. Nella notte del 29 dicembre 2024, quando il quartetto avrebbe rapinato, ognuno con ruoli diversi, due ragazzi in via Pelli (quindici minuti prima avrebbe tentato di derubare un motociclista nel parcheggio dietro la Pensilina Botta) l’atteggiamento era però dei peggiori. Sarebbero volate minacce, intimidazioni che se le vittime non avessero consegnato il borsellino avrebbero tirato «fuori il ferro» oppure sferrato una coltellata. Una delle vittime sarebbe anche stata afferrata, con forza, al collo da tergo e scaraventata a terra. Il tutto per una refurtiva in contanti che lascia perplessi: 30 franchi, 20 euro e 10 sterline. Due imputati – un 25.enne e un 20.enne entrambi cittadini italiani che avrebbero funto da autori materiali, anche se con differenti gradi di responsabilità – sono stati arrestati la stessa notte nei pressi della stazione FFS di Lugano. Gli altri due – una 19.enne cittadina svizzera e un 21.enne cittadino italiano che avrebbero fatto da palo – sono invece finiti in manette lo scorso gennaio in due momenti distinti.
«Scorcio poco gratificante»
Il reato principale di cui sono accusati, appunto, è rapina, consumata e tentata: tutti smentiscono il tentativo avvenuto nel parcheggio dietro la Pensilina Botta (alcuni si rimpallano la colpa, altri che non c’erano, non hanno visto e quindi non sapevano cosa stesse accadendo) e solo uno – il 25.enne, che ha sei condanne alle spalle inflitte dalla Magistratura dei minorenni e una dalle Criminali – ammette quella avvenuta in via Pelli, con un’unica eccezione: «Non ho preso la vittima al collo da tergo, bensì all’altezza del petto come si evince dai filmati delle telecamere di videosorveglianza». E proprio la videosorveglianza (ma anche i messaggi scambiati via chat tra gli imputati e terze persone), secondo il procuratore pubblico Pablo Fäh avrebbe inchiodato il gruppo che aveva «premeditato e pianificato di derubare persone quella sera. Il primo tentativo di rapina dietro la Pensilina Botta non è andato a buon fine, così, quindici minuti dopo, decidono di cambiare obiettivo e derubarne altri due. Da questa storia emerge uno scorcio poco gratificante di quattro ragazzi senza lavoro e senza progetti di vita, che lo scorso dicembre non trovano di meglio da fare che rapinare persone che passano per caso». Tutti hanno «agito con dolo diretto e senza scrupoli», ma il 25.enne «ha delinquito durante il periodo di prova della precedente condanna, oltre a dimostrare di non attenersi minimamente alle regole e avere scarso rispetto nei confronti delle autorità elvetiche». Da qui, la richiesta di pena più pesante rispetto ai correi: 30 mesi interamente da espiare, oltre all’espulsione dalla Svizzera per 7 anni. Richieste inferiori, invece, per gli altri tre, in virtù anche del ruolo che hanno avuto la notte dello scorso 29 dicembre: 9 mesi sospesi per 2 anni. Essendo cittadini italiani, anche per il 21.enne e il 20.enne è stata chiesta l’espulsione dalla Svizzera, ma per 5 anni.
Di ruoli e responsabilità
A vuotare il sacco, in sede d’inchiesta, sembrerebbe essere stato il 25.enne patrocinato dall’avvocato Giorgia Maffei. La stessa che nel corso dell’arringa ha sottolineato, a più riprese, che il suo assistito «ha fornito precise e importanti ammissioni, oltre ad aver collaborato ed essersi assunto le proprie responsabilità, che hanno consentito agli inquirenti di condurre e concludere celermente le indagini. Da subito ha dichiarato di aver discusso e pianificato insieme ai correi, il giorno prima dei fatti, di derubare delle persone ed è stato il primo a non mettere in dubbio che gli accusatori privati hanno sofferto a causa del suo agire». Attenuanti, secondo Maffei, che l’hanno portata a chiedere una pena da espiare contenuta in 25 mesi per il suo assistito. Parziali ammissioni, invece, sono arrivate dal 20.enne, difeso dall’avvocata Maricia Dazzi, che «ha sì partecipato alla rapina di via Pelli, consumandola prendendo il portafogli di una vittima e scappando via, ma non c’è stata premeditazione. Non c’è stata organizzazione e il mio assistito ha scimmiottato sulla base di quello che stava accadendo. La rapina, comunque, è scaturita da un agire improvvisato». Per lui, è stata chiesta una pena di 6 mesi sospesi per 2 anni. Infine, come riportato nell’atto d’accusa, coloro che hanno funto da pali, quindi la 19.enne e il 21.enne patrocinati dagli avvocati Lorena Stoppa e rispettivamente Luca Orsatti. Per loro non c’è stata una richiesta di pena, bensì il proscioglimento dal capo d’imputazione principale in virtù del principio in dubio pro reo. Il ruolo di palo «viene contestato in quanto quella sera, prima di recarsi in discoteca, non seguono gli altri due imputati in via Pelli, ma si fermano prima senza avere la visuale di cosa stesse accadendo. Non hanno quindi mai partecipato a una rapina per di più con una refurtiva per un importo esiguo», hanno detto nelle rispettive arringhe Stoppa e Orsatti.
Arringhe difensive (a parte quella dell’avvocato Maffei) che sono andate di traverso al patrocinatore degli accusatori privati, l’avvocato Giovanni Molo. «Pare che le difese confermino e optino, al posto di una strada di responsabilità, per un percorso di banalizzazione – ha rilevato –. Stiamo parlando della salvaguardia dell’incolumità e della sicurezza del nostro territorio, quindi del bene giuridico primario in uno Stato di diritto. Alla luce di tutto questo, cari colleghi, non può essere banalizzata la sofferenza e il senso di timore che hanno subìto gli accusatori privati. Un reato commesso con la forza, con la violenza e con la minaccia deve essere sempre considerato grave». Domani pomeriggio la lettura della sentenza.