Dalle favelas alle stelle Michelin: «Insegno ai ragazzi che la cucina può cambiare la vita»

Non viene dalle favelas, ma lì ha deciso di restituire qualcosa. Alberto Landgraf, due stelle Michelin con il ristorante Oteque di Rio de Janeiro, è uno degli chef più raffinati e consapevoli della scena sudamericana: una carriera costruita tra Cornélio Procópio, nel sud del Brasile, e Londra, dove ha imparato il mestiere lavorando accanto a Tom Aikens e Gordon Ramsay. Oggi la sua cucina, fatta di precisione giapponese e sensibilità europea, guarda al Brasile con occhi diversi: un Paese dove, dice, «la cucina può ancora cambiare le persone».
«Nel mio ristorante lavorano molti ragazzi che arrivano dalle comunità di Rio, spesso da contesti difficili – racconta –. A loro insegniamo non solo a cucinare, ma a credere in una professione. È più un gesto umano che gastronomico. Le stelle sono importanti, ma non quanto vedere qualcuno conquistare fiducia in sé stesso».
Con questo spirito Landgraf è arrivato in Ticino per due serate di S.Pellegrino Sapori Ticino, in collaborazione con Marco Campanella e Loris Meot. Due città, due incontri, un unico filo conduttore: lo scambio.
Il primo, il 28 settembre all’Hotel Eden Roc di Ascona, lo ha visto accanto a Campanella, due stelle Michelin e 18 punti GaultMillau. «Con Alberto è stato bellissimo – racconta lo chef bistellato de La Brezza –. È arrivato con i suoi ragazzi, curiosi e rispettosi, e noi lo eravamo altrettanto verso di loro. È questo il bello di Sapori Ticino: imparare, contaminarsi, restare curiosi».

Sul menu, due poetiche parallele che si toccano: la purezza tecnica di Landgraf, che costruisce armonie su consistenza, acidità e temperatura, e l’energia mediterranea di Campanella, abituato a giocare tra lago e mare. «Non abbiamo voluto semplicemente riprodurre i piatti di Oteque – spiega Landgraf – ma mostrare una filosofia, fatta di precisione e rispetto per l’ingrediente. L’obiettivo è far capire cosa significa oggi cucinare in Brasile, tra biodiversità e responsabilità».
Due giorni dopo, la scena si è spostata al Ristorante Ciani di Lugano, dove Loris Meot ha ospitato lo chef brasiliano in una serata intensa e partecipata. «È stato un grande onore – afferma Meot –. Due cucine apparentemente lontane, ma unite da valori simili: rispetto, lavoro di squadra, attenzione al cliente. Ho apprezzato molto la calma e la concentrazione di Alberto: insegna senza imporsi, guida con l’esempio».

L’energia delle serate è stata quella tipica del festival ideato da Dany Stauffacher, che da diciannove edizioni trasforma il Ticino in un crocevia gastronomico internazionale. «Ancora una volta – ha ricordato Stauffacher – la tavola è diventata una piattaforma per raccontare storie di persone, territori e idee. E la cucina brasiliana, con la sua forza sociale, incarna perfettamente questo spirito».
Per Landgraf, Sapori Ticino è stata anche un’occasione per costruire legami: «Oggi la crescita passa dallo scambio. Imparo da Marco e Loris, dai loro team; e loro da noi. I nostri assistenti si parlano, si scambiano numeri, diventano amici. Così nascono i ponti tra mondi diversi». Campanella, reduce dal riconoscimento di «Miglior chef svizzero 2025» per GaultMillau, ha ricordato che «il successo ha senso solo se condiviso». E Meot, che oggi prosegue l’eredità di Dario Ranza al Ciani, ha sottolineato «l’importanza di restare aggiornati, confrontarsi, mantenere viva la curiosità».
Due serate sold out, dense di dialogo e calore, in cui la cucina è tornata linguaggio di relazione. Dai ragazzi che imparano un mestiere nelle periferie di Rio alle brigate ticinesi che accolgono nuove idee ai fornelli, il messaggio di Alberto Landgraf è arrivato limpido: la gastronomia può essere un mestiere, un’arte, ma soprattutto un modo di cambiare la vita degli altri. E, quando le luci della sala si abbassano e i piatti tornano in cucina, resta l’eco più sincera di Sapori Ticino: quella di un incontro che lascia un segno — tra il gusto e la gratitudine.
