L’opera

Dentro il cuore di un gigante che segnerà una nuova era

Il 4 settembre verrà inaugurata la Galleria di base del Ceneri - L’ingegnere Alberto Del Col ci svela i dettagli di un tunnel ciclopico
Giona Carcano
28.08.2020 06:00

Il quattro settembre verrà inaugurata ufficialmente la Galleria di base del Ceneri, un’opera costata più di due miliardi di franchi e che permetterà ai poli ticinesi di sentirsi un po’ più vicini. Andiamo allora a scoprire come è avvenuta la costruzione di questo ciclopico tunnel di oltre di 15 chilometri.

Quando entrerà in servizio il prossimo dicembre, la galleria di base del Ceneri sarà il tunnel ferroviario più lungo della Svizzera dopo quello del San Gottardo e del Lötschberg. Un’opera quindi colossale, l’ultimo tassello che permetterà il raggiungimento dell’obiettivo della cosiddetta «linea di pianura» attraverso le Alpi. L’atto formale di consegna – che avverrà dopo la verifica e il collaudo dell’intera opera – da AlpTransit San Gottardo SA alle Ferrovie federali svizzere avverrà alla mezzanotte del 31 agosto. Con Alberto Del Col, ingegnere e responsabile della costruzione grezza e della tecnica ferroviaria della Galleria di base del Ceneri, andiamo quindi a scoprire cosa ha significato – in termini di genio civile e sforzo cantieristico – la costruzione di un’opera di tale portata.

Le grandi sfide

Partiamo dall’inizio, ovvero dall’immane sfida ingegneristica. «In un progetto di queste dimensioni, che si è svolto sull’arco di un paio di decenni, si sono dovute affrontare molteplici sfide, non solamente ingegneristiche» spiega Del Col. «La prima è stata quella concettuale, procedurale e pionieristica, atta a creare accettazione attorno al progetto. Più avanti si è entrati nello specifico, tenendo in debita considerazione la geologia, la morfologia, la posizione dei centri abitati, le possibili venute d’acqua. Importante anche trovare soluzioni per non passare sotto le cime delle montagne in modo da non premere eccessivamente sul tunnel. Aspetti fondamentali, perché sono la base per non avere problemi in seguito. Questo lavoro ci ha permesso di andare a scegliere i metodi costruttivi corretti». Un altro elemento centrale per un cantiere sotterraneo di queste dimensioni è la logistica. «L’aspetto della logistica è strettamente legato al rispetto delle tempistiche di consegna» prosegue l’ingegnere. «Le aspettative, in questo senso, erano elevate. Bisognava insomma stare nei tempi, perché c’era la necessità di mettere in esercizio l’opera. La logistica è tutta quella parte che permette di supportare e concretizzare i metodi di costruzione: solo così si può garantire la funzionalità del cantiere. Per il Ceneri, in particolare, abbiamo sviluppato un concetto per concentrare il cantiere principale in una zona intermedia, al centro del tracciato, in località Sigirino. Lì il territorio permetteva di disporre di spazi sufficientemente grandi e discosti dal centro abitato. Ai due portali – Vezia e Camorino-Vigana – le abitazioni erano troppo a ridosso delle entrate. A Vezia, poi, di terreno disponibile non ce n’era, considerati anche i tracciati FFS e PTL. Ecco che allora la scelta è caduta su un cosiddetto ‘‘dispositivo di attacco intermedio’’ a Sigirino».

Alberto Del Col, ingegnere e responsabile della costruzione grezza e della tecnica ferroviaria della Galleria di base del Ceneri
Alberto Del Col, ingegnere e responsabile della costruzione grezza e della tecnica ferroviaria della Galleria di base del Ceneri

L’impianto di Sigirino

Il cuore del cantiere ha così trovato posto a Sigirino, di fianco all’autostrada. Ed è in quella zona, se vogliamo, che è cominciato tutto. «Già a fine anni Novanta abbiamo costruito una prima galleria di accesso (‘‘cunicolo di prospezione di Sigirino’’), con lo scopo di completare e integrare le conoscenze geologiche» racconta Del Col. «Questo accesso ci è servito per raccogliere i dati ancora mancanti per poter caratterizzare a sufficienza la roccia del massiccio del Ceneri. Fra il marzo e il novembre del 2008 è poi stata costruita una seconda galleria d’accesso («finestra di Sigirino»), questa volta utilizzando una fresa circolare di quasi dieci metri di diametro (l’unica fresa usata in tutta l’opera, ndr). Questo elemento è lungo 2,3 chilometri, e come grandezza è quindi simile alla Vedeggio-Cassarate. In questo modo, da Sigirino avevamo un accesso privilegiato al cuore della montagna. Il tunnel di prospezione nella fase di cantiere è diventato un cunicolo per il trasporto dell’aria fresca, mentre la finestra è servita da accesso per mezzi, personale e materiale. Da lì partivano i nastri per il trasporto del materiale di scavo, che man mano ha trovato dimora a Sigirino. Di fatto, abbiamo rimodellato il fianco della montagna mettendo a dimora più di tre milioni di metri cubi di materiale».

Lo studio della montagna

Capire la montagna, le sue caratteristiche geologiche, è il segreto dietro a ogni galleria. Più sono precisi gli studi, infatti, e meno problemi si incontreranno lungo il cammino. «La geologia dello scavo è il punto centrale, sì» spiega il responsabile. «Per il Ceneri abbiamo quindi cercato di farci un’idea il più corrispondente possibile alla realtà. È chiaro però che alcune incognite sono rimaste, ed è quella la parte appassionante, se vogliamo. Delle incognite che si presentavano giorno dopo giorno, e che richiedevano soluzioni diverse e mirate per ogni zona». In pratica, a ritmo regolare, nel fronte di scavo della galleria si bucava per alcune decine di metri la roccia con un’asta perforante . «Gli specialisti registravano la velocità di penetrazione, e sulla base di quelle misurazioni – unite ad altri parametri verificati in precedenza – potevamo sapere se ci attendeva una tratta impegnativa oppure una tranquilla, con un buon avanzamento» prosegue il nostro interlocutore. «Ma non solo: grazie a quelle perforazioni, potevamo intercettare eventuali sacche d’acqua». Zone idrogeologiche estremamente sensibili in un cantiere di una galleria. «Una delle preoccupazioni principali in fase di stesura del progetto erano proprio le sacche d’acqua» spiega Del Col. «Fortunatamente il Ceneri si è rivelato essere praticamente asciutto. Abbiamo incontrato lunghe tratte asciutte, con solo qualche piccolo stillicidio di goccioline che durava al massimo qualche giorno. Solo in casi rari abbiamo intercettato qualche fuoriuscita di alcuni litri al secondo, che però sono andati spegnendosi nel giro di poco tempo. L’unico punto con dell’acqua lo abbiamo trovato nei pressi del portale nord a Camorino, altrimenti quasi nulla. Addirittura, per rispettare la legge (che prevede un deflusso minimo di acqua dalle canalizzazioni delle gallerie per garantire che non ci sia il rischio di presenza di gas infiammabili e dunque potenzialmente esplosivi, ndr) abbiamo dovuto aggiungere acqua in maniera artificiale». Un punto sensibile, in quanto a possibili venute d’acqua con effetti indesiderati, era la zona del laghetto di Origlio. «Per evitare problemi in fase di definizione del tracciato ci siamo tenuti il più a est possibile» commenta l’ingegnere.

Il 21 gennaio 2016 è caduto il diaframma principale. Nell’immagine, i festeggiamenti. ©Keystone
Il 21 gennaio 2016 è caduto il diaframma principale. Nell’immagine, i festeggiamenti. ©Keystone

Fresa? No, grazie

A differenza della galleria di base del San Gottardo, al Ceneri non è stata utilizzata la fresa. La scelta è infatti caduta sul metodo classico, quindi sull’esplosivo. «L’elemento centrale che determina la scelta del metodo di avanzamento è ancora una volta la geologia» spiega il responsabile. «Determinante è dunque il tipo di roccia che si va a scavare. Il Ceneri, pur avendo generalmente delle rocce medio-buone, presentava una discontinuità geologica notevole. E questa discontinuità avrebbe messo a rischio il buon funzionamento dei lavori con l’utilizzo della fresa. Una macchina enorme e che permette un avanzamento anche molto maggiore rispetto all’esplosivo (con la fresa si possono infatti raggiungere produzioni medie dell’ordine di 20 metri al giorno, con l’esplosivo al massimo 6-8, ndr), ma che deve disporre di una roccia omogenea. Al contrario, il Ceneri nascondeva verso nord delle zone molto delicate: cito la valle di Isone e una tratta di oltre un chilometro dove gli strati rocciosi si presentavano in direzione quasi parallela al tracciato (solitamente si tende a costruire perpendicolarmente alle stratificazioni per prevenire il più possibile i crolli). Dunque abbiamo rinunciato alla fresa a nord, ma a sud – a partire da Sigirino – avevamo intenzione di usarla. Tuttavia, anche in questo caso abbiamo preferito l’uso dell’esplosivo. Infatti, avremmo incontrato un punto molto delicato – la cosiddetta linea della Valcolla – con zone rocciose molto alterate, se non addirittura sabbia. C’era il rischio di deformazioni dell’ordine di alcuni decimetri». Se la fresa avesse incontrato zone simili, avrebbe potuto subire ingenti ritardi e aumenti di costo. Questo perché, come precisa Del Col, dietro la testa della fresa il tunnel avrebbe potuto convergere di alcuni decimetri, bloccando di fatto la testa della fresa e il suo carro di servizio, lungo centinaia di metri. «Il vecchio metodo dell’esplosivo è anche quello più flessibile», spiega l’ingegnere. «In ogni brillamento posso scegliere di quanto avanzare a seconda della roccia che mi trovo davanti. Se per esempio in una determinata zona il fronte di scavo è poco stabile, posso gestire la profondità e la dimensione dello scavo, procedendo gradualmente e assicurando man mano il tunnel. L’esplosivo è un po’ come un diesel: è più lento, ma non si ferma mai. E nel dubbio, dà delle garanzie maggiori». L’avanzamento medio nella Galleria di base del Ceneri è stato di circa 5 metri al giorno, mentre l’esplosivo utilizzato ammonta all’incredibile cifra di 3.500 tonnellate. All’opera, in totale, hanno lavorato nel corso degli anni oltre mille persone.

Il rapporto uomo-macchina

Una volta completato lo scavo e rivestito l’intero tunnel, si è passati alla fase dei test. «Si dividono in due grandi famiglie: a secco, dunque senza treni, e in scala 1:1, quindi con i treni» racconta il nostro interlocutore. «Quelli a secco sono cominciati in parallelo al montaggio della tecnica ferroviaria. In questo modo, quando una determinata componente veniva installata era possibile testarla e capire se corrispondeva alle esigenze del contratto. Si è proceduto prima per singoli elementi, poi con gruppi di elementi, infine con la prova generale: tutti i gruppi collegati fra loro. Degli esempi? Tramite simulazione al computer, si testava l’accensione di una luce segnaletica al passaggio di un treno, oppure se le porte dei collegamenti trasversali si fossero effettivamente chiuse all’arrivo di un convoglio». Una fase di test chiusa a inizio 2020. La seconda è partita invece a marzo. «Abbiamo cominciato a fare delle prove di corsa, con diverse tipologie di treni. Un requisito fondamentale per il rilascio delle autorizzazioni da parte dell’Ufficio federale dei trasporti. L’aspetto centrale dei test era che ci fosse un dialogo fra treno e galleria. Il macchinista, viste le altissime velocità raggiunte, non può infatti leggere i cartelli. La comunicazione avviene in maniera computerizzata, da galleria a treno appunto».

Un treno sfreccia durante la fase dei test. ©Keystone
Un treno sfreccia durante la fase dei test. ©Keystone

La Città Ticino

Durante la seconda fase di test, i treni sono stati portati fino a una velocità di 275 chilometri orari. Il 10% in più della velocità massima che raggiungeranno i convogli passeggeri a partire da dicembre. «I parametri di velocità sono identici a quelli che troviamo al San Gottardo» prosegue Del Col. «250 chilometri orari come velocità massima per i treni passeggeri, 160 per i treni merci per via del loro peso e della loro lunghezza». Veniamo ora alla capacità prevista dalla Galleria di base del Ceneri. «Al San Gottardo siamo a 6 treni merci e 2 treni passeggeri per senso di marcia ogni ora, al Ceneri abbiamo invece 4 treni merci e 6 treni passeggeri per senso di marcia all’ora». Perché questa differenza? Ancora l’ingegnere: «Due dei sei treni merci che usciranno dal San Gottardo, andranno in direzione di Luino (la linea è in fase di potenziamento, ndr). La differenza fra i due tunnel per quanto riguarda i passeggeri è legata invece a un’esigenza territoriale ticinese, ovvero il potenziamento della mobilità nel nostro cantone. Il Ceneri, infatti, è un tassello essenziale per il raggiungimento della prima fase di AlpTransit, la realizzazione della linea di pianura attraverso le Alpi. Un tassello di importanza nazionale, sì, ma che riveste anche un essenziale ruolo regionale in vista della cosiddetta Città Ticino».

Operai della tecnica ferroviaria al lavoro durante la posa dei binari. ©Keystone
Operai della tecnica ferroviaria al lavoro durante la posa dei binari. ©Keystone

Preventivi rispettati

Un’opera del genere ha avuto, evidentemente, costi ciclopici. «Come AlpTransit abbiamo avuto un budget complessivo di 13 miliardi e 157 milioni» rileva Del Col. «Questo importo va indicizzato ai costi del 1998. I costi sono sotto controllo, chiuderemo sotto i 12,5 miliardi. Per l’opera del Ceneri si parla di un investimento nell’ordine di 2,6 miliardi. E queste cifre sono rispettate, siamo all’interno dei preventivi».

Quelle vite che non ci sono più

L’aspetto personale, infine. Per Alberto Del Col, la Galleria di base del Ceneri potrebbe essere definita l’opera della sua vita. «È così, ed è per questo che a pochi giorni dal passaggio di consegne provo tante emozioni» dice. «Ho concluso gli studi a Zurigo nell’aprile del 1994. A settembre ho cominciato a lavorare nell’ufficio del consorzio che ha sviluppato la progettazione. Lì ho lavorato per 12 anni, in seguito - per i successivi 14 anni - sono stato in AlpTransit. A luglio ho compiuto 50 anni, e 26 li ho spesi in questo progetto. Un privilegio, una parte integrante della mia vita. Tanto che le scadenze dell’opera e gli aspetti privati sono intrecciati fra loro. Il cantiere poi diventa una grande famiglia. E un pensiero va sempre alle due vittime che purtroppo hanno perso la vita sul cantiere del Ceneri nel settembre del 2010 e nell’ottobre del 2015. Conoscevo queste persone. Il due settembre a Camorino si terrà una cerimonia in loro ricordo».

In questo articolo: