Dietro una giacca rubata storie di droga e grida di aiuto

A volte capita che l’aspetto giudiziario venga messo in secondo piano rispetto alla necessità di giungere a una giusta commisurazione della colpa e a un’adeguata sanzione. Di trovare, cioè, gli strumenti più corretti per scongiurare il rischio di recidiva e cercare di reindirizzare sulla buona strada la vita di chi ha toccato il fondo. Questo è il caso approdato davanti alla Corte delle assise correzionali: sul banco degli imputati due giovani, lui di 26 e lei di 24 anni, ex fidanzati, con un grave e prolungato problema di tossicodipendenza e con disagi psichici, che lo scorso gennaio si sono macchiati del reato di rapina alla stazione FFS di Capolago. La refurtiva? Una giacca, ottenuta minacciando sia verbalmente sia con un coltellino la proprietaria, minorenne. Il focus, quindi, non verteva tanto sul reato in sé (e sul "bottino"), piuttosto sul contesto umano in cui è stato commesso.
Assistenza riabilitativa e norme di condotta
La commisurazione della pena, come detto, non è stato l’elemento cardine del dibattimento, così come il carcere non è stato ritenuto il luogo adatto dal punto di vista preventivo. Il giudice Mauro Ermani ha deciso, per il ragazzo, una pena di 12 mesi sospesi a favore di un trattamento ambulatoriale, unito all’assistenza riabilitativa e all’obbligo di seguire delle norme di condotta. Per la ragazza, invece, 7 mesi sospesi condizionalmente per 3 anni e l’obbligo di continuare l’assistenza riabilitativa. La procuratrice pubblica, Anna Fumagalli, dopo aver sostenuto che i fatti commessi «sono il frutto di un degrado sociale che gli imputati coltivano già dalla loro infanzia», aveva chiesto per l’imputato – visto che «aveva rifiutato in precedenza delle cure proposte dal perito» – 15 mesi da espiare e la messa in atto di una misura terapeutica da svolgere in carcere («deve essere messo in una situazione coercitiva per evitare di farlo consumare»), mentre per l’imputata 16 mesi e 15 giorni sospesi per 2 anni (era accusata, tra le altre cose, anche di furto per aver rubato profumi da barattare in cambio di cocaina).
Sulla buona strada
Il trattamento ambulatoriale, disposto poi da Ermani, era stato proposto durante l’arringa dall’avvocata del 26.enne, Letizia Vezzoni, che a complemento aveva sottolineato come negli ultimi mesi «è stata costituita una rete volta ad aiutare il giovane (come sottoporsi regolarmente a vari controlli e seguire una psicoterapia), senza la quale l’imputato sa che da solo non potrà farcela». In aggiunta, dal profilo soggettivo la colpa dell’imputato, secondo Vezzoni, non può essere considerata grave per via «della sua situazione personale e dell’esito della perizia, che aveva fatto emergere, tra le altre cose, una scemata imputabilità». Dal canto suo, la patrocinatrice della 24.enne, Carolina Lamorgese, aveva chiesto il proscioglimento dall’accusa di rapina in quanto la giovane «non vi ha partecipato, piuttosto si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era in preda a una crisi di astinenza in un momento nero della sua vita in cui ha avuto una ricaduta. Oggi, invece, è sulla buona strada per riprendersela in mano». Per Ermani, invece, la ragazza ha dato «un contributo causale nel comportamento configurante la rapina», il cui autore materiale è il 26.enne (reo confesso). «La complicità, quindi, è data», ha detto il giudice prima di elencare i vari strumenti di presa a carico. «Ora, spetta a loro decidere se la vita merita di essere vissuta in modo diverso».