Diritti: Ticino bacchettato

«Nell’imporre e confermare l’espulsione del ricorrente, i giudici nazionali non hanno applicato in modo soddisfacente la giurisprudenza della CEDU, che richiede un attento bilanciamento degli interessi individuali e pubblici». È quanto ha concluso la stessa Corte europea per i diritti dell’uomo nell’accogliere il ricorso di un 35.enne kosovaro espulso amministrativamente dalla Svizzera nel 2023. Nella sentenza, datata 2 maggio, la Corte composta dai giudici Stéphanie Mourou-Vikström, Gilberto Felici e Kateřina Šimáčková non ha risparmiato critiche alla giustizia elvetica, concludendo che sì, il nostro Paese ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ossia il Diritto al rispetto della vita privata e familiare. E che, in sintesi, quell’espulsione era illegittima poichè l’uomo ha vissuto per tutta la vita in Svizzera con la famiglia.
Un ping pong giuridico
Del caso in questione ci siamo occupati nel luglio dello scorso anno. La vicenda ha dell’incredibile. Arlind (il nome vero è noto alla redazione) viene condannato quasi 16 anni fa dalla Corte delle assise correzionali a una pena detentiva di due anni e due mesi, di cui 12 mesi da espiare e i rimanenti 14 sospesi, per aver partecipato a un pestaggio andato in scena nell’ottobre 2008 a Lugano. Preso atto della condanna, la Sezione della popolazione gli revoca il permesso di domicilio. Da quel momento inizia un iter giudiziario fatto di ricorsi e domande di revisione. Fino ad arrivare, appunto, al suo allontanamento dal Ticino, circa due anni fa. A complicare le cose, come abbiamo potuto appurare dalla documentazione che il diretto interessato ci aveva inviato, c’è però un grave problema cardiaco alla valvola aortica, attestato nel 2016 da una perizia medica e confermato nel 2023 da uno specialista ticinese in chirurgia, il quale rileva la necessità di procedere a una sostituzione della valvola Melody. Proprio su questi problemi cardiaci Arlind e il suo legale, l’avvocato Cristopher Jackson, fanno leva nel ricorrere contro la decisione di revoca del permesso (e nelle successive domande di revisione). In alcuni casi, il Tribunale federale accoglie i loro ricorsi e ordina nuovi accertamenti circa il suo stato di salute. Ma alla fine, le autorità cantonali gli intimano di lasciare la Svizzera nel giugno del 2023 e la Segreteria di Stato della migrazione emana un divieto di entrata valido tre anni e iscritto nel SIS. Cosa che gli rende molto difficile recarsi in un Paese dell’UE per farsi curare. Uno specialista kosovaro conferma inoltre che un’adeguata presa a carico in Kosovo non è possibile. A quel punto, Jackson si rivolge alla CEDU.
«Lavorare? E come poteva?»
La Corte europea, come detto, non risparmia critiche al nostro Paese. I Tribunali elvetici, per esempio, hanno spesso concluso che Arlind «non ha mai svolto una reale ed effettiva attività lucrativa (eccetto alcuni mesi nel 2009) e non è mai stato finanziariamente autonomo». La Corte europea ha invece fatto notare che «la mancanza di occupazione e di integrazione nel mercato del lavoro è dovuta proprio alla revoca del permesso di soggiorno, che gli ha vietato di lavorare tra il 2009 e il 2023». Quanto alla preoccupazione espressa dalle autorità ticinesi e svizzere «che tali situazioni possano incoraggiare i cittadini stranieri a prolungare il loro soggiorno per regolarizzare il loro status», i giudici di Strasburgo hanno stabilito che «il richiedente non può essere ritenuto responsabile per aver esercitato i rimedi legali disponibili». La Corte ha infine ordinato alla Svizzera di risarcire Arlind con 4 mila euro per torto morale, più altri 15 mila per le spese giudiziarie.