Dobermann con passaporto falso: proprietario assolto

«Me lo ero regalato per i trent’anni. Mi piacciono i dobermann, li trovo eleganti. Ma poi ho passato tre anni con la paura che me lo portassero via. A portarlo a passeggio a mezzanotte». Paure, quelle del 33.enne italiano residente nel Luganese protagonista di questa vicenda che si sono sciolte ieri in un’aula della Pretura penale, quanto il giudice Flavio Biaggi lo ha mandato assolto dalle accuse di falsità in certificati e di contravvenzione alla Legge sulle epizoozie per aver in sostanza usato il passaporto greco falso del cane per ingannare le autorità ticinesi nell’annunciarne l’arrivo nel nostro Cantone. Questo almeno secondo l’accusa (la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis non era presente al dibattimento). E le lacrime di tensione e rabbia del 33.enne sono diventato lacrime di sollievo. Non di gioia però, perché il cane è purtroppo recentemente deceduto a causa di una malattia.
Dove stava l’inghippo
Il problema è che il passaporto dell’animale era effettivamente in parte falso, ma questo l’imputato non poteva saperlo. Anche (ma non solo) perché non lo avevano ritenuto contraffatto diverse figure a cui era fra l’altro demandato di verificarne la bontà, fra cui veterinari in Italia e Svizzera, autorità comunali e doganali. L’uomo il cane l’aveva preso, quando abitava ancora in Italia, da un allevatore greco a cui aveva chiesto tutte le rassicurazioni del caso. Poi era emerso che in realtà l’allevatore era sì greco, ma il venditore serbo. Poi il cane era arrivato con le orecchie e la coda recise, contrariamente alla volontà dell’imputato: «Non era quanto pattuito, ma l’ho tenuto perché è un’anima, non un oggetto». Tutto questo, più dei problemi di sdoganamento per cui è stato multato ieri, hanno evidentemente fatto suonare dei campanelli d’allarme e infine l’Ufficio del veterinario cantonale (UVC) si è accorto che la vaccinazioni sul passaporto erano fatte da un veterinario greco inesistente, e ha denunciato penalmente l’imputato.
«Ingiustamente in aula»
Una decisione, quella di intensificare il conflitto dall’ambito amministrativo a quello penale, che il legale dell’uomo - avvocato Christopher Jackson - ha definito «un accanimento, senza voler fare giochi di parole. È assurdo essere qui per questa vicenda». E, in effetti, per i documenti contraffatti è arrivata l’assoluzione: «Non vi sono evidenze che potesse sapere che il documento era falso», ha detto il giudice Biaggi, che ha deciso che ora lo Stato dovrà rifondergli tre quarti delle spese legali «per averla ingiustamente portato in quest’aula».