Processo

È braccio di ferro sulle transazioni per i metalli

Alla sbarra un bellinzonese accusato di riciclaggio e appropriazione indebita nell'ambito della compravendita materiali ferrosi – L’imputato respinge le accuse
©Cdt/TatianaScolari
Nico Nonella
01.12.2022 18:20

Si è trattato di reati finanziari con, sullo sfondo, il mondo della compravendita di metalli oppure di trasferimenti di denaro in buona fede, se non di operazioni commerciali assolutamente lecite? A questa domanda dovrà rispondere la Corte delle Assise criminali, chiamata a giudicare il caso di un 39.enne del Bellinzonese nei cui confronti il procuratore pubblico Andrea Gianini ipotizza i reati di appropriazione indebita e riciclaggio aggravato. L’imputato, difeso dall’avvocato Gianluigi Della Santa, nega invece di aver agito nell’illegalità.

Pagamento imposto o in buona fede?

Partiamo dal primo reato contestatogli, ossia l’appropriazione indebita. Il 16 marzo 2018 il 39.enne effettua due pagamenti per un totale di 516.200 euro dal conto di un suo conoscente, come lui attivo nel commercio di metalli, sul conto svizzero e su quello bulgaro di una società poschiavina. A detta dell’imputato, il pagamento ha avuto luogo poiché un suo partner commerciale, un cittadino italiano, lo aveva raggiunto a Lugano intimandogli di fare quei versamento in quanto il conoscente «doveva dei soldi a qualcuno». Anche se non direttamente, il 39.enne si è sentito minacciato. «Mi ha detto che i creditori sanno dove e per chi lavoro, e che sarebbe stato meglio pagare». Per la difesa si è trattato di minacce credibili, mentre per l’accusa questa versione è poco verosimile: «Nonostante ciò, ha continuato a intrattenere rapporti, anche amichevoli, con il cittadino italiano, referente di una ditta bresciana che si occupava di commercio di metalli». Quest’ultimo risulta indagato in Italia e non ha mai voluto esporre la sua versione alle autorità penali ticinesi. A far emergere il caso, l’intestatario del conto, un cittadino italiano domiciliato nel Luganese che sporge denuncia (ma si disinteresserà del procedimento penale una volta recuperati 403.300 franchi grazie all’aiuto delle autorità bulgare). Inizialmente, il 39.enne nega tutto e afferma di essere stato autorizzato a effettuare i versamenti dall’intestatario stesso. Nel corso dell’inchiesta, però, vengono prodotte registrazioni in cui si fa esplicito riferimento a presunte minacce. «Senza quelle registrazioni oggi non saremmo in aula».

Flussi illeciti o operazioni commerciali reali?

A questo punto arriviamo anche al secondo reato imputato al 39.enne. Durante l’inchiesta emergono infatti diversi flussi di denaro partiti dalla suddetta società bresciana tra fine maggio 2017 e fine marzo 2018, arrivati sui conti di due società riconducibili all’imputato. Nella prima operava insieme al titolare, finito in manette in Italia nel 2018, nella seconda – aperta dopo l’arresto del socio – operava in autonomia. Il denaro finiva poi nelle casse di una terza società italiana. Nell’atto di accusa si parla di almeno 15,8 milioni di euro movimentati con l’ex socio e di quasi 450 mila franchi in autonomia. Per la difesa si è trattato di operazioni lecite, ossia di compravendita di materiale ferroso. «Non ci sono prove del contrario», ha più volto sottolineato Della Santa. Di diverso avviso il pp Gianini, secondo cui «da accertamenti svolti dalle autorità della vicina Penisola, nei magazzini bresciani non vi era traccia di ferro o rame», mentre i documenti – in possesso della polizia italiana – sarebbero falsi. Toccherà come detto alla Corte presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti stabilire che cosa sia effettivamente successo. La lettura della sentenza è prevista per lunedì mattina.