È morto Anghessa, sedicente agente segreto

Aldo Anghessa è morto a Dakar, in esilio, negli scorsi giorni. Conferme ufficiali per il momento non ce ne sono, ma il quotidiano italiano Avvenire ieri ha contattato uno dei suoi figli che conferma il decesso. Anghessa, spirato a 76 anni, aveva fatto scorrere fiumi d’inchiostro in Ticino e in Italia fra gli anni Ottanta e Novanta ed era rimasto coinvolto in alcune grandi inchieste del tempo, alle volte come testimone, altre come imputato, altre ancora come entrambi. Truffatore o collaboratore di polizia sia in Svizzera che nella Penisola, ancora oggi non vi è certezza che lavorasse per i servizi segreti italiani o fosse piuttosto un abile millantatore, un «freelance» capace di assumere di volta in volta la posizione a lui più favorevole. La sua vera storia è in parte coperta dalla nebbia, e dunque ogni informazione al riguardo è da prendersi con le pinze.
Legname sopracenerino
Anghessa, di origini pugliesi, o forse sicule, in Ticino era ben conosciuto. Si era trasferito nel Sopraceneri a metà degli anni Settanta, si era sposato con una ticinese e aveva messo in piedi un’attività di import-export internazionale di legname con un bleniese. E proprio questa società è stata la sua prima grossa grana giudiziaria e, in ultima analisi, uno dei motivi del suo esilio in Africa. Nel 1983 Anghessa e il suo socio erano stati condannati per truffa a un’assicurazione italiana: una nave che portava il loro legname era stata fatta affondare, un’altra era scomparsa, e i due avevano denunciato la perdita di carichi di un valore ben maggiore rispetto alla realtà. Inoltre la società era fallita lasciando un buco multimilionario, e i soldi non erano mai stati ritrovati.

Armi e droga dall’Iran
Furono quattro gli anni di carcere inflitti ad Anghessa, ma a pochi mesi dalla sentenza non tornò in carcere alla Stampa e riparò in Italia in seguito a un permesso premio. E pochi anni dopo balzò sulle prime pagine di tutti i giornali della Penisola per il suo coinvolgimento in un traffico d’armi e droga fra Italia e Iran. Fu probabilmente lui che permise di sequestrare la nave Boustany One, tanto che nelle settimane precedenti, sotto falso nome (cosa che faceva spesso), aveva provato a vendere alla RSI la possibilità di filmare il sequestro della nave.
Collaborazione ticinese
Da quella vicenda risulta che uscì pulito, cosa che alimentò l’idea che lavorasse per i servizi segreti italiani. E sicuramente, come emerse da quell’inchiesta, collaborò con le autorità ticinesi. Sempre in quegli anni Anghessa fu infatti in contatto con loro e grazie alle sue soffiate (di primo acchito non credute valide) fu possibile ricostruire importanti traffici di droga e di armi con ramificazioni nel nostro cantone. Di questo siamo certi perché fu proprio la procura ticinese a confermarlo in un lungo comunicato chiarificatore nel 1987.
L’estradizione
Negli anni successivi il nome di Anghessa spuntò in altre inchieste italiane relative a buoni del tesoro contraffatti e traffico d’armi, per cui fu spesso arrestato e subito rilasciato. I guai seri per lui cominciarono nel 1993, quando fu arrestato all’aeroporto di Miami su un mandato di cattura internazionale. Mandato spiccato dieci anni prima dalle autorità ticinesi per la sua «evasione» dal carcere luganese. Anghessa fu dunque estradato e finì di scontare la pena in Ticino, salvo poi essere estradato in Italia per un’altra inchiesta a Como per aver aiutato un magistrato a inscenare false operazioni di polizia giudiziaria per fargli fare carriera. Per questo fu poi condannato a otto anni in primo grado, mentre il magistrato fu assolto in Appello. Di conseguenza Anghessa, come da lui affermato in una recente intervista, riparò in Africa per non scontare gli ultimi due anni e mezzo di carcere.