Il caso

Ecco come è partita la presunta «appaltopoli»

Moesano: una sentenza del Tribunale federale fa luce sui possibili accordi cartellari illeciti finiti sotto la lente della COMCO e che riguardano imprese del Grigioni italiano e ticinesi
© CdT/Archivio
Alan Del Don
22.04.2022 11:25

È una sentenza importante, quella emessa dal Tribunale federale (TF) l’8 aprile ma resa pubblica solo ieri come appreso dal nostro giornale, perché fa luce su quello che è stato il caso X che quasi due anni fa ha dato origine all’inchiesta sui presunti appalti nel Moesano. Sotto la lente sono finite tre imprese edili della regione i cui uffici e le abitazioni dei proprietari erano stati perquisiti subito dopo l’apertura del fascicolo da parte della Commissione della concorrenza (COMCO). Gli inquirenti cercavano dei documenti cartacei, delle carte, delle copie forensi di dati elettronici o anche solo degli appunti personali che consentissero di confermare o smentire dei coordinamenti delle offerte che «riguarderebbero la ripartizione dei progetti e la fissazione dei prezzi». E proprio degli atti, come vedremo, sono al centro del recentissimo verdetto dei giudici di Losanna.

Alle origini di tutto

Tutto ha inizio nei primi mesi del 2020. Il Dipartimento infrastrutture, energia e mobilità grigionese (DIEM) pubblica cinque avvisi di gara per lavori di costruzione stradale nelle valli Mesolcina e Calanca. Nella fattispecie, specifica ora Mon Repos, si tratta dei seguenti interventi: Ponte Calancasca-Cauco, bivio Calanca-Grono, bivio Castaneda-Molino, Grono-Verdabbio e Mesocco-Cebbia. Entro i termini vengono inoltrate delle offerte sia da imprese singole sia da parte di consorzi. Uno di questi è quello formato dalle tre aziende del Moesano, che hanno presentato offerte per tutti e cinque i concorsi. «Sorti dei sospetti di intese illecite sugli appalti, le procedure di aggiudicazione sono state interrotte il 10 giugno 2020 in seguito ad un iter che non occorre qui rievocare e ne è stata predisposta la ripetizione», sottolinea il TF. 

Il TRAM fa chiarezza

Apriti cielo. Le imprese contestano davanti al Tribunale amministrativo cantonale (TRAM) l’interruzione di quattro dei cinque mandati e chiedono la delibera dei lavori. Il DIEM risponde picche e quindi nel marzo 2021 il Giudice dell’istruzione specifica «quali atti potevano essere consultati dalle imprese consorziate, nella loro integralità o con omissioni, rispettivamente quali non potevano essere loro consegnati». L’11 gennaio di quest’anno il TRAM respinge il ricorso delle aziende. Innanzitutto i giudici precisano «quali documenti erano oggetto del contendere e quali invece no. Ossia per alcuni documenti le relative censure non erano sufficientemente sostanziate. Per altri le insorgenti ne avevano già ottenuto la completa consultazione. Infine per taluni documenti, essendo ora litigiosa unicamente la questione se questi potessero essere utilizzati (essendone stata chiesta l'estromissione dall'incarto), il quesito andava chiarito nella procedura di merito, ove andava ugualmente esaminata la correlata censura di violazione del diritto di essere sentiti. Dopo avere rilevato che trattava unicamente i quesiti connessi agli appalti interrotti, non invece quelli relativi al procedimento relativo alle presunte intese illecite, la Corte cantonale ha puntualmente spiegato per ogni documento perché condivideva la posizione del Giudice dell'istruzione di negarne, totalmente o parzialmente, la consultazione, sottolineando che il loro contenuto non poteva essere utilizzato a svantaggio delle imprese consorziate».

«Nessun pregiudizio»

Una sentenza che le imprese hanno impugnato di fronte al TF che ha deciso due settimane fa. Secondo l’Alta Corte quanto sancito dal TRAM in merito ai mezzi di prova non avrà alcuna influenza sulla decisione di merito che dovranno prendere gli stessi giudici: qualora quest’ultima fosse negativa «la stessa non crea loro un pregiudizio irreparabile in quanto le interessate hanno comunque sempre la possibilità di impugnarla dinanzi al Tribunale federale e di far valere a quel momento tutte le loro censure, incluse quelle riferite ai documenti che non hanno potuto del tutto o solo parzialmente consultare». Il ricorso, in parole povere, è dunque inammissibile.

Le indagini proseguono

L’inchiesta, ricordiamo, era partita nell’estate 2020. Inizialmente riguardava tre imprese del Moesano, sospettate dalla COMCO di possibili accordi cartellari illeciti. Secondo gli inquirenti le ditte avrebbero costituito un consorzio con il fine di ripartirsi i progetti e coordinare i prezzi. Sei gli appalti (pubblici e privati), risalenti alla primavera 2020, finiti ai raggi X per un importo complessivo di circa 6 milioni di franchi. Lo scorso giugno la Commissione della concorrenza ha esteso le indagini ad altre tre aziende: due hanno sede in Ticino e la terza nel Moesano. L’inchiesta, stando a quanto abbiamo appurato, potrebbe durare diversi anni. Difficile per non dire impossibile, allo stato attuale, saperne di più. Le bocche sono cucitissime.

Non è il primo caso nei Grigioni: in Bassa Engadina sono state accertate e sanzionate diverse infrazioni al diritto specifico commesse da alcune imprese tra il 2004 ed il 2012. Proprio in merito a quest’ultima fattispecie, la COMCO ha più volte sottolineato l’importanza delle perquisizioni, in quanto i »mezzi di prova utili per dimostrare eventuali accordi anticoncorrenziali si trovano nei locali delle imprese«.