Processo

Ecco come provò a scappare con 15 milioni

Il 33.enne del Mendrisiotto alla sbarra a Lugano non è riuscito nel suo intento per un pelo: la sua ricostruzione e quella dell’accusa, che chiede cinque anni di carcere - La difesa si batte per tre sospesi: «Un immaturo»
©CdT/Gabriele Putzu
Federico Storni
21.12.2020 15:02

Il 33.enne del Mendrisiotto a processo da stamattina a Lugano per aver, sfruttando il suo ruolo alla banca Raiffeisen, tentato di rubare 15 milioni di franchi, non è riuscito nel suo intento. Per un pelo. Basandoci sulla ricostruzione da lui fornita in aula e da quella del sostituto procuratore generale Andrea Maria Balerna, vediamo come quasi sia riuscito a farla franca.

Il movente
Innanzitutto, perché l'ha fatto? È stato un misto di cose: il desiderio di poter condurre una vita più agiata di quella che aveva, la sfida di sapere di poter beffare il sistema, la necessità di avere soldi per coprire i primi buchi, una mancanza di freni morali ed etici.

L'antecedente
Da quanto emerso oggi in aula, l'imputato aveva già piazzato un bel colpo nel 2014, riuscendo a sottrarre oltre 80.000 franchi di preziosi da una cassetta di sicurezza. Secondo Balerna è lì che ha capito che poteva sfruttare il sistema a suo vantaggio. Allora l'uomo era responsabile della filiale di Viganello della Raiffeisen, che stava spostando i contenuti di alcune cassette di sicurezza nominali in una generale, alla presenza di un notaio che certificava quali averi contenesse ognuna. Il 33.enne quindi sapeva che c'era una «busta golosa» contenente preziosi e ha deciso di impossessarsene. Ne ha prelevato il contenuto e lo ha sostituito con delle monetine, dopodiché ha risigillato la busta e falsificato le firme originali del notaio e del funzionario di banca. Era piuttosto sicuro di poterla fare franca perché sapeva che chi avesse controllato in seguito avrebbe guardato solo che la busta fosse ancora sigillata, e la probabilità che il cliente si rifacesse vivo era molto bassa: erano stati spostati infatti solo gli averi di clienti irrintracciabili da un po'. Oggi sappiamo di questo furto perché l'ha raccontato egli stesso agli inquirenti dopo qualche mese di carcere.


Le prime truffe
Per sostenere uno stile di vita superiore alle sue possibilità e ripianare alcuni debiti, l'imputato torna a rubare nel 2018 (ma anche prima aveva attinto a conti di parenti), con un altro piano ben studiato. Recupera nominativi di vecchi clienti della banca («Clienti che sapevo avevano lasciato la Svizzera da diverso tempo») e a loro insaputa riapre a loro nome delle relazioni, chiedendo poi e ottenendo (tranne che in un caso) delle linee di credito da dei partner commerciali della banca, portati a fidarsi di lui in quanto consulente. Ottiene così oltre 200.000 franchi.

L'inghippo
Il problema è che, per non destare sospetti, l'uomo deve a questo punto continuare a pagare quanto meno le rate minime mensili dei prestiti ottenuti e, in una sorta di buco-tappabuco, si ritrova «corto» di mezzo milione e con l'ansia che da un momento all'altro qualcuno possa insospettirsi.


La via d'uscita
Siamo nell'estate 2018. «A questo punto potevo alzare la mano e dire di aver fatto un mucchio di stupidaggini, ma non ho avuto il coraggio. Ho deciso invece di commettere un'idiozia immensa in modo da poter scappare ed evitare di dover rispondere di tutte le cose più o meno piccole fatte in precedenza». Vale a dire scappare all'estero con il malloppo grosso.


Il piano
Grazie a un software interno, l'uomo sa quali dei portafogli che gestisce siano più danarosi e anche meno movimentati. Decide quindi di nuovo di sfruttare una falla del sistema (Dice Balerna: «La banca non si può difendere se non a costo della paralisi del sistema contro la defezione e il passaggio all'illegalità della persona che è deputata a effettuare i controlli, vale a dire l'imputato»). Innanzitutto, fa aggiungere ad alcuni conti una persona abilitata ad avere l'accesso e-banking. Come nominativi sfrutta nuovamente quelli degli ex clienti ormai andati via dalla Svizzera, e fa in modo che la macchinetta per l'e-banking e le credenziali finiscano in mano sue. Dopodiché disattiva gli altri accessi e-banking ai conti - quelli dei veri clienti - in modo che non si accorgano di nulla, e fra il 20 e il 21 dicembre 2018 piazza gli ordini: fa cioè confluire circa 15 milioni di franchi da quattro conti su un conto americano e uno tunisino. E si adopera affinché tutto vada liscio. In un caso finge ad esempio di lamentarsi di un cliente per lo spostamento dei soldi. Il 21 dicembre non si stacca dalla sua scrivania, pronto a rispondere e garantire nel caso banca o clienti si insospettissero. Non succede e, finita la giornata lavorativa, salta su una limousine diretta a Francoforte, dove il 22 prende il volo verso Panama.

Il dark web

Parallelamente, l'uomo si è adoperato per essere certo che, una volta giunto a Panama, potesse rientrare in possesso dei soldi. Questo ha significato recarsi sul dark web - una parte di internet nascosta e non facilmente raggiungibile. Qui è riuscito a prendere contatto con persone rimaste ignote che, dietro pagamento di commissioni (circa 100.000 franchi), gli hanno promesso sia di procurargli documenti falsi, sia di prelevare i soldi depositati sul conto americano e su quello tunisino, convertirli nella criptovaluta bitcoin (più difficile da rintracciare) e rimetterglieli a disposizione.

Cosa è andato storto

A Francoforte l'uomo ha piazzato un ultimo bonifico e prenotato un albergo a Panama. Poi ha distrutto la sua carta SIM e ha preso l'aereo. Arrivato in Sudamerica, ha però scoperto in fretta che il conto americano era stato bloccato. Com'è stato possibile? Uno dei clienti da cui aveva attinto si è recato allo sportello lunedì 24 mattina, visto che non riusciva ad accedere all'e-banking. Quanto bastava affinché scattasse il campanello d'allarme dopo una verifica e che in poche ore si scoprissero quasi tutte le operazioni truffaldine del 33.enne.

Ritorno a casa

Credendosi scoperto, l'imputato ha quindi deciso di costituirsi al consolato svizzero. La sua prima buona idea, come l'ha definita Balerna. Rimpatriato in Svizzera ha poi collaborato sin da subito con gli inquirenti.

Parola alla difesa

L’uomo è rappresentato dall’avvocato di fiducia Andrea Rigamonti, il quale ha sostenuto che quello del suo assistito non fosse un piano particolarmente sofisticato: «Non è un criminale pericoloso, ma un ragazzo che si è gettato in una storia assurda e ne pagherà le conseguenze. Basti guardare le tracce che ha lasciato: pensa al colpo della vita ma poi riserva il biglietto aereo con la sua carta di credito e l’albergo a Panama tramite un account booking condiviso con l’ex compagna. Gli inquirenti han saputo subito dov’era e dove stava dormendo. Per questo non merita una condanna così grande, ma di essere punito per quello che è». Rigamonti si è battuto per una pena di tre anni, parzialmente sospesa, sostenendo tra l’altro che nel furto dei milioni non vi sia stato inganno astuto, perché la banca non avrebbe fatto un controllo elementare del caso prima di dare luce verde ai bonifici (ipotesi contestata invece dall’accusa). Subordinatamente, se la Corte dovesse riconoscere l’inganno astuto, ha chiesto una pena contenuta in 46 mesi: «Il doppio di quelli scontati finora».

La Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta emetterà la sua sentenza domani mattina.